Corriere della Sera - La Lettura
AL CINEMA TORNA L’INCUBO: IL GIOCO NON SI PUÒ GIOCARE
Il caro, vecchio incubo claustrofobico, la stanza chiusa da cui non puoi scappare, si moltiplica nel film
Escape room, concepito dal produttore Ori Marmur, una volta uscito sano e salvo con tutta la famiglia da una vera escape room. Ci sono sei persone (quattro uomini e due donne), si capirà non scelte a caso, che per diecimila dollari affrontano questa caccia al tesoro che ha in palio la vita, in cui devi sempre trovare il modo di fuggire da mostruosi pericoli. Ci sono caldo incendio, freddo ghiaccio, stanza di vertigini, eccetera eccetera, secondo la sovranista logica implacabile dell’ideatore del mortale «passatempo» (al cinema).
A parte che è assai difficile partecipare in prima persona da spettatori al game nel caos turbolento, rumoroso e banale dell’intreccio che assomiglia a un disumano gioco della torre, quello che è esecrabile è la morale che l’autore del gioco confessa alla fine, cioè l’urgente bisogno di tornare ai gladiatori, di far così divertire con metodi forti gli uomini forti e potenti saturi dei reality tv.
Per il resto le scatole cinesi della storia diretta da Adam Robitel (regista dell’ultimo episodio della saga horror Insidious), sono un tema già sfruttato al cinema anche partendo dal giallo vintage: c’è la serie sanguinolenta Saw
l’enigmista e The room, dramma filiale, anche senza citare gli autori che davvero hanno giocato da maestri con le patologie umane, come le vertigini (Hitchcock).