Corriere della Sera - La Lettura
Islamisti e populisti L’attacco su due fronti alla democrazia laica
Francese, studioso delle religioni, il politologo Olivier Roy analizza la crisi della secolarizzazione in Europa Mettendo in luce un paradosso: «La commistione tra identità cristiana e sovranismo riduce la fede a un fatto culturale»
Dopo tanti successi editoriali sull’islam contemporaneo, Olivier Roy dedica un libro all’Europa cristiana. Col punto interrogativo, fin dal titolo: «Un’Europa cristiana?». Pubblicato in Francia da Seuil in gennaio, L’Europe estelle chrétienne? sta per uscire in inglese per Hurst. Sarà nelle librerie italiane dopo l’estate per Feltrinelli. Noto come studioso di islam, il politologo francese è in effetti un esperto di religione senza aggettivi. È celebre il suo La santa ignoranza (Feltrinelli, 2008) in cui Roy ha teorizzato l’emergere di una religione globalizzata priva di riferimenti culturali. Dieci anni fa, un progetto di ricerca su religione e politica in Occidente ha portato Olivier Roy in Italia. «La Lettura» lo incontra nel suo ufficio di Fiesole, presso l’Istituto universitario europeo.
Nel 1969 lei partiva per Kabul…
«Zaino in spalla, in autostop. Uno studente come tanti. Erano gli anni Sessanta. Molti andavano a Kathmandu, in Nepal. Io cercai in Afghanistan l’autenticità, l’Oriente incontaminato. Le mie visite si susseguirono anno dopo anno».
Nel 1979 giunsero i carri armati sovietici.
«Continuai ad andare, ma dalla parte dei mujaheddin. Imparai il persiano. Per quattro anni ho lavorato sulla guerra».
Lei era di formazione protestante.
«Studi biblici e teologia. Tanta filosofia. Psicoanalisi. Molto intellettuale. Eravamo cristiani di sinistra: bisognava rompere la frontiera tra religione e mondo secolare».
Era il tempo successivo al Concilio Vaticano II.
«Noi protestanti avevamo una tradizione antidogmatica, di spirito critico. Nel cattolicesimo no, non c’era. Loro cominciavano». € sono proprio pochi».
Quando cambiano le cose?
«La vera svolta è con l’islam. La questione del velo esplode in Francia nel 1989. I tempi sono gli stessi nell’Europa del Nord. Le seconde generazioni figlie degli immigrati dei Sessanta e Settanta hanno ormai 18 anni. Ed ecco la sorpresa. Questa seconda generazione abbandona il couscous e la djellaba, parla francese, tedesco e inglese. Ma sono musulmani. Credenti. E cominciano i problemi. Finché erano stranieri arrivati con la loro cultura e il folclore, si poteva amarli o no, ma non ci si sentiva in discussione. Ora non sono più turchi o arabi. Sono musulmani. Il problema comincia lì».
In Francia.
«Perché è in Francia che la crisi con il religioso appare con più forza. La laicità francese è talmente costrittiva. È l’ideologia dello Stato. La cultura nazionale. E ora è messa in discussione dalla visibilità di un religioso puro».
È questo il ritorno della religione?
«Non c’è un ritorno della religione. C’è invece una deculturazione del religioso che rende visibile il nuovo religioso. Nella sua forma musulmana, ma anche cattolica, con gli integralisti».
Il nuovo religioso ispira ostilità.
«Anche se colpisce tutte le religioni, nel corso degli anni Novanta l’ostilità si concentra sull’islam. Appaiono allora gli identitari cristiani...».
«Che utilizzano i segni cristiani per vietare l’islam. Ma non si riferiscono mai davvero a nor me e va l o r i c r i s t i a ni . Mai».
«La mia tesi è che i populisti siano un prodotto degli anni Sessanta. Gente che si vuole godere la vita. Salvini, Marine Le Pen, Wilders in Olanda, Strache in Austria. Altro che famiglia tradizionale. La contraddizione è totale: i loro valori sono quelli del 1968 ma invocano un’identità cristiana».
Eppure il problema è l’islam.
«L’islam è l’albero che nasconde la foresta. Se fossimo una società chiaramente cristiana, non avremmo questo rapporto con l’islam. Avremmo un rapporto come lo abbiamo avuto con gli ebrei. Da maggioranza a minoranza. Entrambe definite religiosamente».
E invece? ...E i partiti populisti. Neppure nel privato.
«Si detesta l’islam perché è la religione al quadrato. È l’approccio della sinistra francese: ci abbiamo messo un secolo per schiacciare la Chiesa e adesso arrivano questi. “Charlie Hebdo” è questo. L’anticlericalismo, l’anti-religione. Perciò il Papa ha detto: non sono Charlie. È perfettamente logico. Non può essere Charlie».
E i populisti?
«La sinistra oppone all’islam il femminismo, la libertà sessuale, i diritti degli omosessuali. Valori liberali, secolari. Per i populisti è diverso. Per loro l’islam è l’opposto del cristianesimo. Dell’identità cristiana. Ma il problema sta proprio qui. Che cosa sono i valori cristiani per loro? Non certo i valori della Chiesa. Il caso di Salvini è molto chiaro. Quando un vescovo lo contraddice, lui va avanti lo stesso».
L’abbraccio con il populismo salverà il cristianesimo europeo?
«L’unione tra identità cristiana e populismo accentua la secolarizzazione dell’Europa. Quando si scaccia il segno religioso musulmano, si colpisce tutta la religione, anche la cristiana. Si laicizza lo spazio pubblico. Quando si tutela la specificità della religione cristiana, come nel caso del crocifisso, lo si fa in nome della cultura. Dunque: o si laicizza lo spazio pubblico o si culturalizza la religione».
Rieccoci alla sua celebre tesi sul divorzio tra religione e cultura nel mondo d’oggi. Sta forse in questo la crisi dell’Europa cristiana?
«È la grande questione: siamo di fronte alla crisi di una cultura, oppure a essere in crisi a causa della globalizzazione è la nozione stessa di cultura?».