Corriere della Sera - La Lettura
Oltre l’illusoria democrazia diretta La via deliberativa aiuta a scegliere
La Brexit ha dimostrato che temi complessi non si affrontano con una crocetta sulla scheda. Bisogna educare l’elettorato a prendere decisioni consapevoli
Troppi aggettivi che accompagnano la democrazia sono fuori luogo, spesso la contraddicono, talvolta manipolano, più o meno consapevolmente, i suoi caratteri costitutivi. Più di sessant’anni fa, nel libro ancora oggi essenziale Democrazia e
definizioni (il Mulino, 1957), Giovanni Sartori criticò aspramente le aggettivazioni improprie e fuorvianti, delle quali, allora, la peggiore era «popolare». Le democrazie popolari, cioè i regimi dei Paesi satelliti dell’Unione Sovietica, non erano né democrazie né popolari.
Allo stesso modo, non è possibile sostenere né oggi né ieri che le democrazie illiberali — formula usata dal premier ungherese Viktor Orbán — sono democrazie. Laddove i diritti civili e politici dei cittadini sono violati, dove la stampa non è libera, dove l’opposizione ha limitati spazi di azione, dove il sistema giudiziario viene controllato dall’esecutivo, mancano le condizioni minime, quelle che il liberalismo ha messo a fondamento delle nascenti democrazie, della loro natura, del loro funzionamento e persistenza.
La contrapposizione classica contem
poranea è fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, poiché molti ritengono che le nuove tecnologie, i nuovi strumenti di comunicazione abbiano finalmente reso possibile ai cittadini di esercitare direttamente il loro potere senza bisogno di rappresentanti, rendendoli non soltanto obsoleti e inutili, ma addirittura controproducenti, un ostacolo alla traduzione delle loro preferenze, all’espressione dei loro interessi. I «direttisti» (terminologia di Sartori) identificano e confondono la democrazia esclusivamente con i procedimenti decisionali. Per loro, la democrazia diretta è quella nella quale tutte le decisioni vengono prese dai cittadini.
Naturalmente, democrazia è molto altro. È soprattutto una «conversazione», frequente e costante, nella quale i cittadini sono coinvolti, cercando di persuadersi a vicenda, per giungere a un accordo poi seguito da decisioni che sono sempre rivedibili alla luce dei loro effetti, più o meno positivi, e di altre informazioni sulla tematica in questione. Peraltro, tutte le
democrazie rappresentative oggi esistenti contemplano la presenza e l’uso di strumenti di democrazia diretta: l’iniziativa legislativa popolare, varie forme di referendum, persino la revoca, a determinate condizioni, degli eletti. Dal referendum (strumento di rarissimo uso in Gran Bretagna) «Remain» o «Leave» sulla Brexit dovremmo imparare tutti (britannici compresi) che la democrazia diretta necessita di fondarsi su una effettiva e ampia base di informazioni disponibili a tutti gli elettori. Non è mai una semplice crocetta né un rapido clic, ma è l’esito di un procedimento nel quale le posizioni sono state argomentate in pubblico e l’opinione, per l’appunto, pubblica si è (in)formata a favore o contro una specifica scelta.
Grandi scelte possono essere sottoposte all’elettorato, con le cautele del caso, ma la maggior parte dei processi decisionali richiedono ancora che siano i rappresentanti a dare il loro apporto alla definizione dell’esito. Se la democrazia diretta non è tuttora in grado di sostituire la democrazia rappresentativa, tranne che nelle esternazioni di alcuni irriducibili semplificatori, è tuttavia possibile arricchire la democrazia rappresentativa migliorando la rappresentanza e integrandola con alcune modalità specifiche.
Qualche volta i «direttisti» lamentano l’alto tasso di astensionismo in alcuni contesti e in alcune elezioni. Si trovano in compagnia con i «partecipazionisti», coloro che affermano che «democrazia» è partecipazione, non solo elettorale. Peraltro, esistono già e sono utilizzate modalità che rendono più semplice l’esercizio del diritto di voto: per esempio, il voto per posta, la possibilità di votare in anticipo rispetto al giorno ufficiale delle elezioni, la delega. Si potrebbe inoltre consentire a chiunque di votare dove lui/lei si trovano (gli strumenti telematici consentono di riconoscere la qualifica di elettore e di evitare brogli). Chi ritiene che quanto più elevata è la partecipazione elettorale tanto migliore sarebbe la democrazia può proporre non pochi perfezionamenti all’esercizio del diritto di voto per quel che attiene la scelta dei rappresentanti e, in qualche caso, dei governanti nelle cariche monocratiche: presidenti nelle Repubbliche semipresidenziali e presidenziali, governatori di Stati, sindaci e così via.
Chi, invece, pensa che il vero problema delle democrazie contemporanee sia il mancato coinvolgimento dei cittadini in una pluralità di decisioni che, spesso, se importanti, hanno un alto tasso di «tecnicità», può rifarsi alla oramai abbondante letteratura e a molte pratiche di «democrazia deliberativa»: in italiano il testo più rilevante lo ha scritto Antonio Floridia, La democrazia deliberativa: teorie, processi e sistemi (Carocci, 2013). L’antesignano di questo filone di studi, il politologo americano James S. Fishkin, ha sintetizzato lo stato attuale delle ricerche e riferito su diversi esiti concreti in Democracy: When the People Are Thinking. Revitalizing Our Politics Through Public Deliberation
(Oxford University Press, 2018).
La democrazia deliberativa non è affatto la stessa cosa di democrazia decidente, inventata da qualcuno in occasione del referendum sulle riforme costituzionali del 2016. Deliberare non significa decidere, ma preparare il processo decisionale attraverso il ricorso ad assemblee di cittadini ai quali sono fornite tutte le informazioni necessarie a una migliore comprensione del problema, delle modalità con le quali può essere compreso e affrontato, dei costi e dei benefici, delle conseguenze. Ad esempio, il «se» e il «come» costruire la Tav avrebbero potuto essere oggetto di modalità di discussione, di valutazione e di eventuale approvazione seguendo lo schema della democrazia deliberativa.
La democrazia, scrisse Norberto Bobbio in Il futuro della democrazia (Einaudi, 1984), ha promesso di «educare la cittadinanza». È utile e doveroso partecipare anche per imparare. A loro volta, i partecipanti più e meglio informati contribuiscono all’affermazione e al perfezionamento della democrazia, del potere del popolo. A determinate condizioni, soprattutto l’accuratezza nella costruzione dell’esperimento, la democrazia deliberativa indica che, sì, i cittadini diventeranno meglio informati e il conseguente processo decisionale sarà più «rappresentativo» delle loro opinioni, più condiviso, più efficace. Al momento, questa è la strada per migliorare la democrazia rappresentativa.