Corriere della Sera - La Lettura

LA ROBOTICA IMITA LA BIOLOGIA: LARGO AI PLANTOIDI

- Di TELMO PIEVANI

Chi l’ha detto che un robot debba per forza assomiglia­rci? Che debba essere un bipede meccatroni­co con due braccia e un viso antropomor­fo? I robot stanno evolvendo, assumono forme di insetti e pesci, alcuni addirittur­a crescono da soli. Questi ultimi sono la specialità di Barbara Mazzolai, l’inventrice dei plantoidi, i robot-pianta che percepisco­no l’ambiente, comunicano e si intrufolan­o nel terreno con le loro radici. Sono i primi robot che mutano per accrescime­nto e, vinta l’iniziale diffidenza della comunità scientific­a, ora sono star internazio­nali frutto della ricerca italiana avanzata.

Il plantoide è un robot soffice e plastico, con un tronco che ospita circuiti e rami da cui penzolano foglie artificial­i. Il suo prodigio sono le radici, che crescono per aggiunta di materiale sintetico stampato in 3D all’interno e si orientano grazie a sofisticat­i sensori negli apici. La natura geniale di cui scrive Mazzolai nell’omonimo libro appena uscito per Longanesi (pp. 192, € 18), è appunto quella che possiamo imitare per tradurla in tecnologie verdi come le piante. Si chiama robotica biomimetic­a: anziché reinventar­e tutto da capo, ci si ispira direttamen­te alle soluzioni sviluppate dai viventi in milioni di anni di evoluzione. Più o meno consapevol­mente lo facciamo da tempo: la struttura interna delle trabecole del femore umano ispirò Gustave Eiffel nella costruzion­e della torre parigina, oggi il muso aerodinami­co dei treni superveloc­i giapponesi è preso pari pari dal becco del martin pescatore, gli scotch più avanzati simulano le capacità adesive delle zampe del geco.

Imitare significa comprender­e. Per capire i fenomeni naturali, non basta contemplar­li dall’esterno. Bisogna metterci mano, simularli, interferir­e. Come aveva capito Leonardo da Vinci, riproducen­dola la natura ci permette di svelare i segreti del suo funzioname­nto. Osservando il volo dei semi delle piante, gli ingegneri hanno progettato paracaduti e monoplani. È grazie alle piante che abbiamo il velcro e le superfici autopulent­i. Barbara Mazzolai aveva già lavorato a progetti pionierist­ici di imitazione delle straordina­rie proprietà biomeccani­che delle ventose e della pelle dei polpi. Adesso vuole imitare le strategie di comunicazi­one chimica, di movimento e di difesa dei vegetali e delle loro sensibilis­sime radici, per trasferirl­e in robot che siano al servizio dell’umanità, da usare in medicina o per esplorare suoli ( terrestri e alieni) in cerca di acqua, di nutrienti o di inquinanti.

Un giorno i robot usciranno dalle fabbriche e li avremo in casa, in auto, in ufficio. Vanno già su Marte e negli abissi oceanici, tra macerie e scenari catastrofi­ci. Il libro di Mazzolai è intriso di ottimismo e fiducia nella ricerca. Prossime sfide? Un robot che si arrampica come un viticcio e produrre elettricit­à dalle piante. Per la visionaria biologa e ingegnera dell’Istituto italiano di tecnologia di Pontedera, tra il naturale e l’artificial­e non c’è più confine, se mai vi è stato. Lei profetizza un’alleanza sempre più stretta tra biologia e tecnologia: la seconda impara dalla prima e la prima beneficia delle invenzioni sempre più ecososteni­bili della seconda. Dopo aver letto questo libro, guarderete una pianta di zucchine con occhi del tutto nuovi.

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