Corriere della Sera - La Lettura

Occhio non vede, cuore duole

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Un romanzo breve e un racconto di Salvatore Niffoi, abbinati, affrontano lo stesso tema, con parallelis­mi e differenze: la cecità. C’è, in fondo, una possibilit­à di riscatto, nonostante tutto Ne «Il cieco di Ortakos» e in «Pasodoble» le figure femminili sono molto belle, siano la madre, un’amica o la prostituta Brigida

Un titolo per due diversi lavori, differenti per mole, trattandos­i nel primo caso, Il cieco di Ortakos, di un romanzo breve e nel secondo, Pasodoble, di un racconto. Perché il dittico, che ha come protagonis­ti due non vedenti, propone due percorsi contrari quanto a modalità di vivere la propria cecità.

Due cecità dalle origini differenti: improvvisa nel caso di Paolo, soprannomi­nato Pasodoble per la sua passione per il tango; da cieco nato per Damianu Isperanzos­u, tale però per un violento calcio del padre Beneittu alla madre incinta, donna Paulina, da lui trattata come «fosse una bestia da monta e l’amore uguale al mangiare o all’andare di corpo». Un padre violento e animalesco, «un uomo maledetto e senza speranza», che odia il figlio proprio per quella cecità da lui stesso provocata; il figlio gli è fortunatam­ente sottratto dalla madre su istigazion­e del dottor Calleddu e del parroco don Saverio (e col consenso del nonno materno pentito d’aver costretto la figlia a quell’infelice matrimonio), quando i due amici capiscono «che il Padre Eterno misericor

dioso mi aveva fatto il regalo grande di aiutarmi a vedere la luce anche al buio» e la convincono a lasciarlo andare dapprima «al convitto “Gli occhi di Maria” di Kalaris» e poi alla scuola Don Martine Abistu a Kalaris. Questa scuola «metteva insieme elementari e medie, e soprattutt­o, grazie agli sforzi del convitto, aveva una sezione a parte in cui insegnavan­o a ciechi e ipovedenti a leggere e far di conto», in tal modo impedendo che alla cecità si aggiungess­e anche l’ignoranza, che è la malattia più brutta, e rende pure sordi. Infine, frequenta il bolognese liceo classico Luigi Galvani. La conclusion­e lo vede laurearsi, rientrando in Sardegna dopo che la mamma aveva rifiutato di raggiunger­lo volendo «morire a Ortakos, dove aveva vissuto sopportand­o quel marito per anni, obbedendo a una dolorosa abitudine di cui non riusciva a disfarsi», e trovando impiego nell’insegnamen­to.

Un cammino con diversi parallelis­mi con Pasodoble, pur in due vicende umane di diverso sentore. Perché Il cieco di Ortakos è un romanzo di amore e di amicizia, dove a far da contraltar­e a un mondo caratteriz­zato da violenza (soprattutt­o i padri) e vendette, concorrono anche le figure della trapezista Svetlana ma soprattutt­o la storia d’amore con Jolanda Serathu che sin da quando a tre anni viene iscritto all’asilo delle suore, lo aiuta a mangiare e dicendogli di volergli «prestare i suoi occhi, tanto era dolce» andando «a dire a tutti quanti che ci saremmo sposati». Al contrario, Pasodoble, pur in una vicenda nella quale spicca la figura tra amica e paterna di don Ilariu «che ha un’ostia consacrata al posto del cuore», si dà come romanzo di solitudine, col protagonis­ta cresciuto tra tanti insulti e ferite d’ogni tipo che s’era «abituato a lasciare che guarissero da sole» e ormai abituato a chiedersi il perché delle cose, a differenza di Damiano, al quale mama Paulina aveva insegnato «sin da piccolo a masticare il dolore e a trasformar­lo in speranza». Nelle due storie si rispecchia­no le figure dei sacerdoti e quelle delle madri Paolina e Redenta (la sola nell’universo maschile di Pasodoble); ma pure quei padri per i quali i figli sono disgrazie «dalla nascita». La situazione si rovescia però al momento della morte: per Paolo il padre «prima di andarsene non mi ha neanche voluto vedere», mentre per Damianu il padre non sarà ritenuto degno di essere perdonato neppure in punto di morte.

Due storie di un riscatto attraverso la cultura: che vede Paolo dopo l’incontro con Robinson Crusoe appassiona­rsi alla lettura sino a farne «l’unico piacere della mia vita», e divenire, lui vedente, cieco per quanto lo circonda, vivendo le vite dei personaggi dei libri, salvo, divenuto cieco, farsi leggere Paolo La guerra della fine del mondo di Vargas Llosa. E con Damianu che nel buio della cecità, grazie alla letteratur­a può «immaginare i colori nascosti del mondo degli altri». Il parallelis­mo è sottolinea­to poi dall’avverbio «fulminante»: perché tale è la cecità di origine misteriosa che colpisce Paolo, al pari del miracolist­ico ritorno della vista a Damianu al momento della nascita del figlio, salvo morire subito dopo: con quanto di rinvio alla parabola evangelica del cieco nato che da subito ti richiami e che poi Niffoi riporta per esteso.

Nel volume Niffoi sdoppia in due diverse opere quella convivenza tra racconto scritto e orale del precedente Venditore di metafore: perché nel Cieco di Ortakos ci si muove in un racconto affidato a un memoriale (alternante intensità a diluizioni narrative con giochi anche linguistic­i, ma con figure femminili tutte molto belle, siano la madre, un’amica o la prostituta Brigida: non però l’infermiera ninfomane, per un intermezzo un po’ gratuito) steso in prima persona dallo stesso protagonis­ta e concluso dalla moglie per l’improvviso sopravveni­re della morte, mentrePas odo blesi affida a un’oralità che guadagna in intensità.

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