Corriere della Sera - La Lettura
Ho attraversato il mondo per diventare padre
Ha inventato Rat-Man, l’anti-super-eroe, e lo ha disegnato per trent’anni salvando più volte la Terra e generazioni di lettori; poi ha smesso, ma siccome non poteva stare fermo, con le mani nelle mani, ha scritto «Cinzia», una meravigliosa vertigine sulla diversità. Ora Leo Ortolani torna con una nuova edizione di «Due figlie e altri animali feroci»: commovente, divertente, sbalorditiva avventura di come ci si prepara a essere genitori adottivi
Leo Ortolani è un ragno d’acqua. Ma forse detto così non suona benissimo, soprattutto in apertura. Allora teniamolo un attimo in sospeso, il ragno d’acqua, e partiamo classici dicendo che Ortolani è uno dei più grandi fumettisti italiani. È stato lui a darci Rat-Man, nato come parodia degli eroi in calzamaglia per poi diventare un supereroe vero e proprio, che con le sue avventure ha salvato più volte il mondo e insieme le vite di alcune generazioni di lettori, sbilenche e improbabili come la sua, mentre da ragazzi ci trasformavamo in giovani uomini e poi in tentativi traballanti di adulti.
Per quasi trent’anni Ortolani ha disegnato le sue imprese, e in parallelo altri memorabili universi narrativi come Venerdì 12 e L’ultima burba, gestendo un pentolone creativo impressionante, dove sempre ribolle un miscuglio di comicità, osservazioni micidiali sul quotidiano, entusiasmo e malinconia, i temi più profondi e angoscianti della vita insieme alla potenza irresistibile dell’ottimismo e la propensione salvifica alla risata. Poi, nel 2017, quando in edicola uscivano ormai tre testate dedicate alle storie di Rat-Man, Ortolani ha deciso che era il momento di chiudere la sua fiammeggiante epopea.
Forse perché si era esaurito il suo ciclo naturale, forse perché il suo creatore — dopo tre decenni di lavoro con ritmi da servitù della gleba — voleva semplicemente inventarsi un po’ di tempo per fare altro nella vita, tipo respirare, guardare la tv, andare al mercato.
In ogni caso, il piano non ha funzionato. Perché una volta chiuse le avventure del suo eroe più noto, la porta creativa di Ortolani si è spalancata su una nuova dimensione, smisurata e prepotente, dove lo aspettavano storie di una profondità che spaesa, temi e situazioni che raramente si riesce a sondare senza perdere la forza esuberante della comicità.
E così lo scorso anno Bao Publishing ha portato in libreria Cinzia, una graphic novel che poteva sembrare solo un volume dedicato a uno splendido personaggio
dell’universo di Ra t-Man, Cinzia Others id e,perdut amente innamorata di lui e dei vestiti aderenti eleo pardati. Invece si tratta di una meraviglia vertiginosa e pien adi coraggio, sulla transessualità, sulla diversità di genere e la diversità ingenerale, che a ogni tavola tifa rideree ti commuove in una corsa senza freni sulle montagne russe dell’emozione.
E nella stessa, intensa direzione, ecco che Bao presenta una nuova, splendida edizione di Due figlie e altri animali feroci, uscito in origine con Sperling & Kupfer nel 2011. Così un altro mondo di lettori potrà appassionarsi al resoconto letterario e sentimentale di Ortolani intorno alla propria esperienza di genitore, quando insieme alla moglie Caterina decidono di affrontare un’avventura così ardita che lo stesso Rat-Man scapperebbe terrorizzato: diventare genitori adottivi.
E allora è adesso il momento giusto per dirlo, che Leo Ortolani è un ragno d’acqua.
Lo è perché riesce a lavorare come quell’incredibile creatura, che grazie alla leggerezza della sua natura può vivere sul pelo dell’acqua, sfiorando appena la superficie e muovendosi armonioso. Poi deposita bolle d’aria sui peli dell’addome, costruisce una campana di ragnatela e la riempie con quell’ossigeno, e si immerge per catturare le sue prede laggiù nel profondo.
A Ortolani riesce lo stesso prodigio, tranne la campana di ragnatela e forse i peli sull’addome: la sua comicità, il suo modo elettrico di intendere l’esistenza gli permettono di mantenere una grazia incantevole mentre scorta il lettore sulla superficie luminosa della pagina, ma al tempo stesso lo porta là in fondo, tra i temi e le temperature più impegnativi dell’esistenza, catturandone l’essenza per un risultato che insieme appassiona, diverte, coinvolge, smuove e commuove.
È proprio questo che succede in Due figlie e altri animali feroci, i cui protagonisti sono Leo, Caterina e le loro figlie, Johanna e Lucy Maria, nate dall’altra parte del
mondo, dove senza saperlo li aspettavano da tempo.
Prima, però, un palpitante prologo sui passi che precedono la scelta dell’adozione. Le infinite visite mediche per lui e per lei, le teorie scientifiche più discordanti, i tentativi con la fecondazione assistita, resi ancor più complicati dal fatto che Leo si ritrova nello stanzino col fatidico bicchierino da riempire, ma come aiuto psicologico invece di giornaletti con le donne nude ha a disposizione «la Poetica del Manzoni» e «il Druido di Shannara».
Allora è chiaro che il piano non funziona, e i due approdano alla scelta dell’adozione. Che non è per niente un approdo, anzi, è un affidarsi alla provvidenza mentre si imbarcano per un viaggio nel mare smisurato del mistero, tra i gorghi della legge, gli uragani della burocrazia, le bonacce letali dell’attesa.
Perché Leo immagina una situazione liscia e snella, come in un negozio di scarpe o un concessionario d’auto: come lo volete, moro o biondo? Grande o piccolo? «Volete dare un’occhiata al catalogo “abbandonati”?». E Ortolani risponde: «Ma se sono stati abbandonati un motivo ci sarà, no?».
Perché ancora non sa cosa li aspetta, e quindi ha voglia di scherzare.
Ma è il 2001, e il percorso è appena iniziato. Poi arrivano i colloqui di gruppo e di coppia, interrogatori polizieschi alla ricerca feroce di magagne, fino al 2003 quando il tribunale giudica lui e Caterina idonei all’adozione.
Evviva, giubilo, festeggiamenti. Poi, per tutto il 2004, il 2005 e il 2006, nulla.
Allora i due ci riprovano, aprendosi all’adozione internazionale. E così, finalmente, ancora nulla. Almeno fino al 2009, quando arriva la possibilità di due bambine, dall’altra parte del mondo. E mesi di documenti, certificati, funzionari, responsabili, tribunali. Ma alla fine, quando non ci credono più, ecco che possono andarle a conoscere davvero.
A Cali, in Colombia. Esotica e lontana, troppo lontana: «Che a noi Ortolani ci piace andare all’avventura, basta che stiamo a casa per cena. E si cena alle sette e mezza».
Eppure si fanno forza e vanno, e da qui parte un’impresa colombiana che durerà due mesi, piena di difficoltà burocratiche e umane che metterebbero in fuga chiunque. Però inizia abbracciando le due bambine, e anche se il tutto avviene in una stanza anonima, davanti agli occhi giudicanti di funzionari colombiani, la magia è così forte, prepotente e selvaggia che la sua energia non conosce sconfitta.
E questi due mesi Ortolani li racconta in lunghe lettere, vulcaniche email che ogni due giorni, la sera quando finalmente le due piccole «Belve» gli danno un attimo di respiro, si siede a scrivere in albergo. Nella sua mente, è una specie di diario che le bimbe potranno leggere da grandi, per capire come sono stati davvero questi primi mesi insieme. Ma intanto i suoi resoconti tumultuosi, pieni di ansia e scoperte e di irresistibile comicità, Leo li invia a parenti e amici. E tra questi c’è Andrea Plazzi.
L’uomo che da tanti anni lavora con lui a Rat-Man e a ogni sua creazione. E Plazzi capisce subito che questo è un diario, sì, e una serie intensa di lettere. Ma senza saperlo è anche un libro. E allora ecco come Leo ha deciso di scrivere Due figlie
e altri animali feroci, che poi è come si prendono le decisioni importanti della vita: senza deciderlo davvero, ma scoprendolo mentre succede.
E intanto si scopre anche padre. Con due bimbe che urlano e corrono senza fermarsi mai, tranne in rari momenti quando non dovrebbero, come in mezzo alle strade più trafficate di Bogotá. Lui cerca di ragionarci, ma loro parlano spagnolo e lui può solo provarci, con risultati che invece somigliano al veneto stretto. Eppure non si scoraggia. Cioè, sì, però è convinto che «la fede smuove le montagne. È che noi di solito andiamo al mare».
E allora è una fortuna che, oltre alla fede, ci sia sua moglie Caterina. Che parla benissimo la lingua, ed è anche brava con le bimbe e a organizzare la vita in un Paese così lontano e diverso. Grazie a lei, e al destino, riescono a sopravvivere in quei due mesi travolgenti, e a tornare in Italia tutti insieme.
Per quella che può sembrare la fine di una storia, e invece è solo l’inizio di un’avventura ancora più grande e clamorosa. Quella di due bambine che si scoprono figlie, e due adulti che si scoprono genitori, e insieme diventano una famiglia.
«L’adozione, come mi hanno insegnato le mie figlie Johanna e Lucy Maria, è come ballare la salsa. Loro ballano benissimo, io sembro un cono spartitraffico. Ogni tanto mi urtano le auto, allora mi muovo».
E così, con l’incanto di chi sa vivere l’intensità dei sentimenti come una musica, la famiglia Ortolani vive e racconta la propria storia, convinta che «se la vita ha un senso, dev’essere il senso dell’umorismo».
E se ce l’ha anche per noi, un senso, una sua parte preziosa è il tempo che dedichiamo a pagine come queste. Che ci restano dentro mentre la vita ci porta avanti, o indietro, o di lato, ovunque sia quel che ancora non conosciamo, eppure è là che ci aspetta.