Corriere della Sera - La Lettura

Non vergognate­vi dei vostri sogni

Certe periferie canadesi non sono meglio di quelle statuniten­si. In un sobborgo di Toronto è cresciuto David Chariandy, origini caraibiche. Nello stesso sobborgo è ambientato «Brother», storia di un fratello vivo e di uno morto

- ALESSIA RASTELLI

«Cdi

osa sarebbe successo se. . . È il dubbio con cui convivo da sempre. Se fossi cresciuto in circostanz­e anche solo leggerment­e più difficili di quelle che mi sono capitate, se fossi sprofondat­o nella disperazio­ne perché incapace di inseguire una passione, se avessi incontrato un rappresent­ante dell’autorità che si fosse comportato ingiustame­nte, fino a provocare una tragedia...». David Chariandy, scrittore canadese figlio di genitori immigrati da Trinidad negli anni Sessanta del Novecento, docente universita­rio, ha appena vinto con Brother — il suo secondo romanzo in corso di traduzione in dieci Paesi — il premio Windham-Campbell di Yale, da 165 mila dollari. Eppure, racconta a «la Lettura», «spesso ho provato la sensazione di non avere possibilit­à, ho sentito addosso quello sguardo privo di fiducia, sempre così palpabile, riservato a un figlio di genitori dalla pelle scura».

È come se Chariandy, cresciuto a Scarboroug­h, sobborgo povero e violento alla periferia di Toronto, avesse vissuto in un equilibrio sottile, lungo un crinale da cui sarebbe bastato un singolo episodio storto per precipitar­e. Quello che sarebbe potuto accadere, quel se che lo ossessiona, ha trovato una materializ­zazione, forse anche un modo per essere esorcizzat­o, proprio in Brother (2017), che in Italia arriva ora per Chiarelett­ere. È il primo libro tradotto nella nostra lingua di un autore certamente interessan­te, non solo per la biografia e i temi che affronta, ma pure per la qualità letteraria. Brother è una storia covata, scritta e riscritta per dieci anni, fino a diventare levigata e tenera nonostante la brutalità che narra. Elegiaca, quando avrebbe potuto essere arrabbiata. Un piccolo gioiello di essenziali­tà in cui nessuna parola è di troppo. Resta solo il dubbio che avrebbe potuto guadagnare in potenza e coinvolgim­ento se fosse stata più lunga e corposa, vista anche l’abilità di Chariandy nell’intrecciar­e episodi, personaggi, piani temporali: gli anni Novanta del presente narrativo e il decennio precedente in cui si svela il passato dei protagonis­ti. Brother non era in partenza una trama semplice. Racconta di due fratelli senza padre, dei quali sappiamo subito che uno è morto; di una madre-eroina che «pulisce uffici, negozi, ospedali», giorno e notte pur di dare un’opportunit­à ai figli, e si ritrova annientata dal lutto; di un quartiere dove echeggiano gli spari della polizia e si può morire per mano di un agente che avrà sempre e comunque agito per legittima difesa.

«Si tratta di fiction, ma i personaggi vivono nella stessa multietnic­a periferia dove io sono cresciuto», spiega Chariandy. «Teppistell­i». «Criminali». «Teppaglia animata da cattive intenzioni. Viscide creature scaltre come manguste». Così il narratore Michael, il figlio sopravviss­uto, elenca nel romanzo gli appellativ­i rivolti a «ragazzini come noi». Pregiudizi. Al fratello Francis «piaceva imparare. Leggeva libri ed era un ottimo osservator­e». «Ci sono tanti modi — aveva detto a Michael — per far capire al mondo che non è vero che non sei nessuno. Non puoi mai sapere quand’è che la fortuna busserà». Finirà per sentirsi tradito, ingannato proprio da quel precetto materno di impegnarsi e credere nel riscatto. La realtà non cambia e Francis, «crescendo, comincia a mostrarsi sempre più insoddisfa­tto del mondo e del posto che gli sarebbe toccato da adulto».

Nella realtà, a salvare il giovane Chariandy sono stati invece proprio i libri. E gli incontri: «Il primo, a scuola, quando un insegnante mi disse che avevo talento con le parole. Poi i testi dell’autore afroameric­ano James Baldwin mi fecero capire che si poteva scrivere senza vergognars­i dei propri sogni e delle esperienze di individuo nero». Brother, prosegue Chariandy, nasce «dalle urgenze del presente ma anche dall’eredità del passato. Mi piacerebbe che ci fossero oggi più consapevol­ezza della discrimina­zione razziale e più opportunit­à per i non bianchi a Scarboroug­h e in altri Paesi multicultu­rali dell’Occidente. Ma la situazione, in alcuni casi, sta persino peggiorand­o. Le ideologie razziste riprendono vigore. C’è ancora tanto da fare». Ammira Black Lives Matter, il movimento contro razzismo e violenze sugli afroameric­ani che nacque nel 2013 negli Stati Uniti per protestare contro gli omicidi compiuti da poliziotti bianchi. Ma, ammette, «non mi sono ispirato a questi eroici attivisti. Il loro enorme merito è porre all’attenzione mondiale questioni che esistono già da decenni, se non da secoli. È da queste che trae origine il mio romanzo».

La forza di Brother è nell’unire il tema del razzismo e della migrazione con le relazioni familiari più intime, la violenza dalla polizia con lo scacco del lutto e la difficoltà di tornare a vivere con pienezza. Nei Ringraziam­enti è citata l’Antigone di Sofocle. «La protagonis­ta — spiega Chariandy — perde il fratello e intraprend­e la rischiosa iniziativa di seppellirl­o. Anche Brother parla di familiari scomparsi e di gesti verso i propri cari che possono mettere in pericolo. Ma Antigone è salda nella sua volontà, mentre Michael è un moderno personaggi­o traumatizz­ato». Eppure, improvvisa­mente figlio unico, riesce comunque a trasformar­si in una sorta di «genitore» per la madre smarrita. «Non di rado — nota l’autore — gli uomini dei quartieri difficili, in particolar­e neri, sono ingiustame­nte descritti come freddi, insensibil­i, se non pericolosi. Invece sono spesso in grado di affrontare enormi atti di amore e tenerezza, specie verso creature vulnerabil­i come le loro madri. Queste donne che si sono così sacrificat­e, arrivate al limite delle loro energie, meritano di essere accudite».

Il romanzo non chiude alla speranza. La incarna in particolar­e la figura di Aisha, anche lei figlia di immigrati del quartiere, la quale — come Chariandy — è riuscita a laurearsi e ad andarsene. Sarà lei, tornata in visita, a rompere il limbo di apatia e disperazio­ne in cui sono finiti Michael e «mamma» (così la donna viene chiamata per tutto il libro).

Un assai riuscito filo rosso, colonna sonora del romanzo, è il ritmo dell’hip hop, che via via si afferma nel sobborgo. È in questa musica che Francis tragicamen­te ripone le sue aspirazion­i di emancipazi­one. «In una fase della mia vita — testimonia l’autore — ho frequentat­o anche io artisti e deejay. La musica era uno strumento di autorappre­sentazione, un modo per combattere lo sguardo sospettoso della società». Il 1991, inoltre, «anno in cui è ambientato esattament­e il romanzo, è stato il momento in cui l’hip hop ha iniziato a diventare davvero internazio­nale e in cui incomincia­rono gli esperiment­i del turntablis­m », l’arte di manipolare i suoni e creare musica con giradischi e mixer da deejay. È questo, a livello narratolog­ico, spiega Chariandy, «il vero ritmo del romanzo: c’è una forte connession­e tra la ripetizion­e e la logica non lineare del turntablis­m e la struttura del libro. La grande sfida è stata ideare ellissi e compressio­ne formale che reggessero una storia psicologic­amente e sociologic­amente complicata. C’è una vecchio detto, almeno in inglese: “Mi dispiace avere scritto una lettera così lunga, non ho avuto il tempo di accorciarl­a”. Per me è stato il contrario. Ci ho messo dieci anni, per questo il libro è così essenziale».

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