Corriere della Sera - La Lettura
Bosch perde colpi Connelly lo sostiene
Ex detective del dipartimento di Los Angeles, Harry Bosch è andato in pensione e ora lavora come volontario nella sezione dei casi freddi (quelli rimasti irrisolti) della piccola polizia di San Fernando. Il suo tran tran viene sconvolto dal duplice assassinio di due farmacisti, padre e figlio: finalmente un caso caldo e non le scartoffie d’archivio. Però alle spalle di Bosch (è il caso di dire) si apre un altro fronte. L’Unità per l’Integrità delle Sentenze (una sezione dal nome vagamente orwelliano) sta procedendo alla revisione di una antica inchiesta di Bosch. Si tratta dell’omicidio (con stupro) di un’aspirante attrice da parte di un aspirante attore (e sembra di ritrovarsi tra le pagine di un classico come Hollywood Babilonia). L’uomo, che era stato condannato a morte, accusa Bosch di aver inventato prove false a suo carico. Il test del Dna, che ai tempi dell’inchiesta ancora non era in auge, scagiona l’ex attore. Il poliziotto preferito da Michael Connelly rischia grosso in Doppia verità: a parte l’eventuale danno economico con il pagamento di un risarcimento che prosciugherebbe i suoi risparmi (destinati a finanziare gli studi della sua adorata figlia), c’è il suo buon nome, anni di onorata carriera investigativa, da difendere. Connelly fu il più bravo dei thrilleristi verso la metà degli anni Novanta. I suoi romanzi riproducevano con impressionante realismo il mestiere del poliziotto. Poi ebbe un periodo altalenante: sempre impeccabile dal punto di vista procedurale, rivelava segni di stanchezza e di esaurimento fuori dal protocollo. Doppia verità dimostra soprattutto quanto Connelly sia affezionato a Harry Bosch che attraversa la fase autunnale (quasi invernale ormai) della sua vita e della sua professione e ogni tanto, a causa dell’età, perde qualche colpo. Ma i vecchi amici non si possono lasciare soli nel momento del bisogno, sarebbe il tradimento più infame. Un thriller si può scrivere anche per una questione di fedeltà.