Corriere della Sera - La Lettura
La campagna va in città e si destruttura
Alla Fondazione Prada il lavoro di Lizzie Fitch e Ryan Trecartin
Benvenuti al luna park delle identità liquide e dei confini fluidi tra città e campagna. In un universo di immagini, suoni e installazioni, all’interno del Podium, del Deposito e nel cortile della Fondazione Prada, il duo americano Lizzie Fitch (1981) e Ryan Trecartin (1981) ha montato il set che ha utilizzato per la realizzazione di un lungometraggio in Ohio. Il set, che è il luogo dove i due hanno vissuto negli ultimi due anni e che hanno qui ricostruito, è costituito da pochi spartani oggetti: una casa senza pareti, una torre, sedie a dondolo, lunghe grate, pareti e tegole messe a pavimento… Alle pareti, su grandi schermi, sono proiettati spezzoni del film. I due vantano una consuetudine collaborativa e sono già stati esposti in mostre al Whitney (2006) e al Moma (2011) di New York e anche in Biennale a Venezia nel 2013, dove Miuccia Prada li ha visti e perciò ha commissionato loro il lungometraggio che presto proietterà in Fondazione e di cui questa mostra è il primo esito.
Che cosa raccontano i video dei quali diventiamo protagonisti attraversando e sedendoci «all’interno della casa» come in un reality? Sono video tutti post: usano un linguaggio post-televisivo e post-internet, non presentano racconti unitari e usano una post-lingua, fatta di slang americano dal quale emergono ripetuti fuck off. Protagonista assoluto dei video è Trecartin, vestito come una ragazza Amish che fugge dalla città alla campagna intorno ad Athens, in Ohio.
Se una traccia di senso non decostruito c’è, questo è l’idealizzazione della condizione rurale mutuata dalle ideologie di «ritorno alla terra» ma in un’ironica presa di possesso del territorio e delle identità: la protagonista, ad esempio, afferma di possedere il 2% di Dna Amish. Nei video, frutto dell’immaginario pop-dark americano, e nelle installazioni, tutto diventa gioco, videogioco, parco di divertimento, percorso per skate, jogging, giostre, labirinti come in una «casa delle streghe». Il film che verrà, e gli spezzoni esposti in mostra, rivelano una narrazione in progress un po’ situazionista: «A causa del brutto tempo — ha detto Trecartin — la costruzione è andata a rilento rispetto ai programmi. Abbiamo dovuto modificare molte idee che avevamo immaginato su come utilizzare il set. Abbiamo avuto anche problemi con i vicini. Da qui sono nati i contenuti che riguardano i concetti di territorio e proprietà e che si sono poi mescolati alle prime idee».
Nella mostra echi sonori e visivi della natura e della vita quotidiana si uniscono a distorsioni di spazi ed esperienze familiari, come trovarsi in uno zoo o in un edificio pubblico, o camminare in corridoi guidati da strutture di reclusione. Il progetto è accompagnato dalla prima retrospettiva completa che riunisce 21 film di Trecartin ( The Movies) nel Cinematografo. Questa proiezione precede l’anteprima mondiale del lungometraggio realizzato in Ohio Whether Line. Questo è anche il titolo della mostra, ed è abbastanza intraducibile. Secondo il curatore, Mario Mainetti, significa qualcosa come « confine del sé, ma ha a che fare con una polisemanticità: riguarda il tempo atmosferico, l’idea di possibilità e molto altro ancora». I due godono di ottimi galleristi a Los Angeles e Belino e di collezionisti come Pinault. Ovviamente la mostra potrà viaggiare per altre esposizioni ma è difficile pensare alla durata nel tempo di queste proposte, non solo perché neppure cercano una permanenza ma anche per la sperimentalità del linguaggio, forse comprensibile nell’esercizio dell’emozione ma in una dimensione non esteticamente pedagogica né votata alla costruzione razionale di un senso.