Corriere della Sera - La Lettura

Ho trovato l’anima delle kamikaze

Il regista iracheno Al Daradji: «Nel mio nuovo film, presto a Milano, un’attentatri­ce suicida ritrova l’umanità»

- Di VIVIANA MAZZA

Nel 2006 il regista iracheno Mohamed al Daradji vide su un giornale un’immagine che non riuscì più a dimenticar­e: «Un giovane poliziotto cercava di aiutare una ragazzina di 16 o 17 anni a togliersi un giubbotto esplosivo. Era andata alla stazione di polizia per fare un attentato ma 5 minuti prima aveva confessato: “Ho una bomba, aiutatemi”». Anche la protagonis­ta di The Journey («Il viaggio»), che verrà presentato mercoledì 17 aprile a Milano nell’ambito della rassegna «La verità, vi prego, sul presente», curata dalla Fondazione Feltrinell­i e Gabriele Del Grande, è determinat­a a farsi saltare in aria alla stazione ferroviari­a di Bagdad. In una scena un uomo le sbottona la camicia: un gesto che in altri contesti indichereb­be intimità diventa una prova di coraggio e di umanità. Rimuovere quel congegno dal ventre della donna

può spazzare via le vite di entrambi.

Dopo un’infanzia di violenza sotto Saddam Hussein, lei ha lasciato Bagdad nel 1994, a 17 anni, iniziando una nuova vita in Olanda, dove ha studiato cinema. Ma è tornato per raccontare soprattutt­o storie di donne. Perché?

«Metà della società è donna ma non ha voce. Alla fine del mio film precedente, Son of Babylon (“Figlio di Babilonia”), le donne trasportan­o una bara che rappresent­a l’Iraq. Nel prossimo, Bird of Paradise (“Uccello del paradiso”), una trentotten­ne guida un autobus raccoglien­do bambini senza casa per istruirli».

Nel 2004 lei fu rapito e torturato da Al Qaeda: la accusarono di girare film di propaganda americana. Quell’esperienza ha influenzat­o «The Journey»?

«Sì, mi trovai a un passo dalla morte. Ora questo film è basato su una frase del Corano che riguarda il momento in cui sai che stai per morire. Dio toglie il velo dai tuoi occhi e vedi ciò che normalment­e è invisibile, al di là del nostro potere come esseri umani. Ma il momento in cui sei in grado di vedere è anche il momento in cui stai per perdere la vita».

Spesso si tenta di capire le ragioni degli attentator­i scavando nelle loro vite. Ma lei non racconta niente del passato della protagonis­ta. Perché?

«Perché la domanda cruciale per me è un’altra: possiamo risvegliar­e in queste persone l’umanità che hanno perduto? Porto questa donna in un viaggio in cui incontra le persone che sta per uccidere. Le faccio tenere in braccio un neonato, vedere i bambini che vendono fiori e lucidano le scarpe, voglio tirare fuori l’umanità che le è stata tolta nel suo passato».

Com’è stato accolto il film in Iraq?

«Era il primo film iracheno a uscire nei cinema da 27 anni. Era presto per parlare di questi temi, ad Al Qaeda era subentrato l’Isis. Molti non avevano pianto né davvero riflettuto su quello che è successo, ma l’hanno accolto bene».

A differenza della sua protagonis­ta, ci sono tante donne jihadiste che non provano rimorso. Pensa davvero che l’umanità possa prevalere?

«All’inizio volevo fare questo film per vendetta contro gli estremisti, la prima sceneggiat­ura era piena di rabbia. Ma nel 2012 ho incontrato un’attentatri­ce rinchiusa in prigione: una ragazza bellissima, intelligen­te, che mi raccontò la sua storia guardandom­i dritto negli occhi. Ho smesso di pensare alla vendetta. Dietro ogni assassino c’è un essere umano».

Nell’adesione a gruppi come l’Isis quanto conta la religione?

«Ci sono estremisti con un’ideologia religiosa, altri che credono che l’Isis possa portare giustizia in un mondo iniquo, altri ancora sono persone deboli, non in pace con sé stesse. In generale la gente cerca un salvatore: Dio, Maometto, Gesù, Mosé, ma può essere anche l’Isis con le sue false promesse».

L’Isis può risorgere?

«L’Iraq è più sicuro oggi ma la strada verso la libertà dalle idee estremiste è lunga e passa attraverso la riconcilia­zione e un cambiament­o della mentalità. Bisogna riflettere su quel che è successo dopo l’11 settembre. Al di là degli slogan, non abbiamo vinto la guerra al terrorismo: ha raggiunto Parigi, Londra, Damasco, l’Egitto, è arrivata ovunque. Ora si dice che ci sia un nuovo gruppo, i “Guardiani della religione”, che sta emergendo in Siria dalle ceneri dell’Isis. Per me l’educazione è cruciale: anch’io, se non avessi avuto l’istruzione giusta, avrei potuto unirmi ad Al Qaeda o all’Isis».

 ??  ?? Mohamed al Daradji, 40 anni, il 17 aprile a Milano per il ciclo «La verità, vi prego, sul presente» (ore 18.30, Fondazione Feltrinell­i)
Mohamed al Daradji, 40 anni, il 17 aprile a Milano per il ciclo «La verità, vi prego, sul presente» (ore 18.30, Fondazione Feltrinell­i)

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