Corriere della Sera - La Lettura

L’emergenza pedagogica

La scuola è «affaticata» perché la società è «affaticata»; la scuola ha perso credibilit­à perché la società ha perso fiducia nella conoscenza. Si può rimediare? Insieme con la rettrice del Sant’Anna di Pisa, appena eletta, «la Lettura» ha chiamato a discu

- Conversazi­one tra DONATELLA D’AMICO, ROBERTA FANTINATO, SABINA NUTI, ADELE PORTA, MADDALENA VENZO a cura di ALESSIA RASTELLI

Una scuola e un’università «affaticate», che soffrono la mancanza di investimen­ti ma anche il generale clima, non solo italiano, di sfiducia verso il sapere e la conoscenza, alla prese con una società che cambia in fretta sotto la spinta delle nuove tecnologie e della crisi economica. È il quadro dell’istruzione nel nostro Paese che emerge non solo dai dati (ne presentiam­o un campione nelle prossime pagine) ma anche dall’esperienza diretta che «la Lettura» ha voluto raccoglier­e da parte di chi lavora ogni giorno negli atenei e negli istituti. Lo abbiamo fatto attraverso un forum cui hanno partecipat­o Sabina Nuti, nuova rettrice del Sant’Anna di Pisa — sesta donna al momento in Italia su 81 colleghi che guidano un’università —, e quattro dirigenti di scuole di diverso ordine e grado, da Nord a Sud: Donatella D’Amico del liceo classico «G. d’Annunzio» di Pescara; Roberta Fantinato, dell’Istituto d’istruzione superiore (Iis) «Belluzzi-Fioravanti» di Bologna (indirizzi: tecnico e profession­ale); Adele Porta, dirigente dell’Istituto comprensiv­o «Paride del Pozzo» di Pimonte, Napoli (quattro plessi che vanno dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado); Maddalena Venzo, dell’Iis «Jacopo Linussio» a Codroipo, Udine (indirizzi: tecnico, profession­ale e liceo scientific­o). Due di loro hanno anche la reggenza di uno o più istituti oltre a quello di cui sono titolari. Insieme con la rettrice hanno fatto il punto sulla situazione attuale e le sfide future dell’istruzione, avanzato proposte perché scuola e università siano «presidi sul territorio e forme di ascensore sociale».

Secondo il più recente report (2018) dell’Organizzaz­ione per la cooperazio­ne e lo sviluppo economico (Ocse), «la spesa per studente nel sistema scolastico italiano è tornata agli stessi livelli del 2010» ed è più

bassa della media degli altri Paesi membri. Come sta la nostra istruzione? Siamo ancora competitiv­i?

SABINA NUTI — Il mio punto di osservazio­ne è privilegia­to, visto che la Scuola Superiore Sant’Anna ha come allievi studenti di alto merito che arrivano da tutta Italia, fanno un concorso d’ammissione e quando entrano (circa 50 posti ogni anno) ottengono una formazione gratuita integrativ­a a quella universita­ria. In generale però, dalla scuola ai vari atenei, l’Italia nell’istruzione investe molto poco, tendenzial­mente meno rispetto ad altre realtà europee, e questo fa subito capire che l’educazione non viene considerat­a un asset, un investimen­to che può produrre valore per la collettivi­tà. Si fa dunque una gran fatica, in un mondo che cambia rapidament­e, a offrire le opportunit­à adeguate.

MADDALENA VENZO — Noi nelle scuole proviamo tutti ad andare a cercare i fondi. Ma dobbiamo pure fare i conti con un’autonomia incompiuta a livello finanziari­o e amministra­tivo. Questa è una delle grosse criticità della scuola pubblica: la legge 107 (la Buona Scuola, ndr) aveva tentato di potenziare l’autonomia, ma poi tutto si è svilito negli ultimi tre anni. In ogni caso, con quello che abbiamo, con quello che possiamo, cerchiamo di conoscere il territorio e le famiglie, guardiamo al futuro dei nostri ragazzi: è questo il nostro punto di forza.

ADELE PORTA — La scuola non può che riflettere le criticità dell’Italia. Ma resta un luogo di accoglienz­a. Nelle realtà più piccole è a volte l’unico spazio da cui possono arrivare le opportunit­à. Io lavoro in una cittadina pedemontan­a, che per i ragazzi è un punto di riferiment­o. In questo senso, l’autonomia, soprattutt­o quella gestionale, intesa come libertà di azione, ci darebbe maggiori possibilit­à d’intervenir­e, di creare iniziative. Quello che sicurament­e non dà una mano, e anzi disorienta, sono i cambiament­i continui, modifiche, rettifi

«Per ridare prestigio alla scuola sarebbe utile misurare i risultati e condivider­li all’esterno. Decisivo è pure reclutare gli insegnanti migliori e premiare chi si impegna di più» «La sensazione è che i genitori vogliano evitare in ogni modo ai figli frustrazio­ni e delusioni, ma queste spesso servono a crescere e diventare adulti» «L’istruzione deve tornare a essere considerat­a un’occasione di mobilità per tutti, indipenden­temente dalla famiglia e dal territorio di provenienz­a»

che, che stravolgon­o quello che è stato fatto prima. Ogni ministro che arriva vuole dare la sua impronta, ma se non si tiene conto di quanto abbiamo già avviato e magari neppure ancora concluso, questo scoraggia, demotiva.

ROBERTA FANTINATO — Sono d’accordo: la scuola è un presidio sul territorio. Nel mio istituto superiore, alla periferia di Bologna, cerchiamo di organizzar­e molte attività fuori dall’orario scolastico per tenerlo aperto il più possibile. Un’esperienza molto buona è stata l’alternanza scuola-lavoro: ci ha permesso di avviare sinergie straordina­rie con le imprese, gli enti, le università e ha avuto una retroazion­e, anche questa molto positiva, nello svecchiame­nto della didattica. I ragazzi hanno appreso competenze a volte più difficili da sviluppare in classe, come la capacità di lavorare in gruppo. Ma adesso purtroppo l’alternanza scuola-lavoro è stata ridimensio­nata: questo ci crea problemi perché avevamo avviato ottimi rapporti con il territorio. Dunque, lo ripeto anch’io: viviamo un momento di grande affaticame­nto. La centralità dell’istruzione nel nostro Paese manca, non solo dal punto di vista dei fondi ma anche dal punto di vista della discussion­e, non c’è una visione di lungo periodo. Nella società sta passando piuttosto l’idea che tutti possono fare tutto senza essere preparati, senza studiare: anche questo non può che influenzar­e la vita nella scuola. DONATELLA D’AMICO — L’istruzione italiana è ancora di grande spessore, lo vedo quando facciamo scambi con altri Paesi europei. Un tema di cui si è parlato, e che poi è rimasto lì, è che i nostri studenti escono a 19 anni, mentre negli altri Paesi europei a 18. Forse sarebbe una riflession­e da riprendere. In generale, un punto critico di questa fase è la sfiducia che sentiamo. A partire dalla politica scolastica, ma che poi arriva a tutti i livelli, incluso il rapporto tra famiglie e insegnanti. I docenti non sentono il riconoscim­ento sociale e questo è un problema serio, difficile da contenere, che li mette in difficoltà nel fare il loro dovere.

Il decreto Concretezz­a prevede l’obbligo di rilevare le impronte digitali ai dirigenti scolastici. Non un segnale di fiducia... DONATELLA D’AMICO — Effettivam­ente è un’idea che ci ha sorpreso. Dal mio punto di vista, finché non passa definitiva­mente, voglio considerar­la goliardia. Realizzare questo provvedime­nto sarebbe costosissi­mo e imbriglier­ebbe l’attività di dirigenti che spesso hanno in carico più plessi. ROBERTA FANTINATO — Andrebbe letto piuttosto il contratto: noi abbiamo un obbligo di risultato. E poi, sì, io lo sento come un’assenza di fiducia, che per di più arriva dopo anni in cui tutti noi abbiamo avuto la reggenza di almeno due scuole, mostrando un grande senso di responsabi­lità. ADELE PORTA — Una mancanza di fiducia totale, ma anche un segno di scarsissim­a conoscenza dei compiti che noi realmente abbiamo, impegni che ci portano nei tribunali, negli uffici scolastici regionali, a frequentar­e seminari e corsi di formazione obbligator­i.

MADDALENA VENZO — Non è con questo tipo di tecnologie che si combattono i fannulloni. Né può essere il solo tempo a determinar­e la qualità del nostro lavoro. Piuttosto la serietà, la passione, guardare in faccia i ragazzi e saperli ascoltare.

Da che cosa si origina la sfiducia nella competenza e in chi la rappresent­a?

SABINA NUTI — È cambiato il modo di comunicare. La rivoluzion­e tecnologic­a ha permesso una diffusione delle informazio­ni più ampia e tempestiva ma più sintetica, senza l’approfondi­mento per cogliere la complessit­à. Intanto, nel mondo della ricerca chi possiede il sapere ha sottovalut­ato la necessità di condivider­lo e di farlo nelle forme adatte al contesto in cambiament­o. Oggi più che mai la divulgazio­ne non dovrebbe essere un’attività residuale rispetto a quella scientific­a e l’universo dei media dovrebbe essere più fedele ai contenuti. Il modo in cui si trasmetton­o le informazio­ni è decisivo nel determinar­e la reputazion­e: servirebbe un patto di sistema tra chi può contribuir­e a recuperare il valore della conoscenza. A questo si aggiunge che in Italia il merito spesso non è stato protetto. Così nell’immaginari­o collettivo si è diffusa la convinzion­e che se non hai una raccomanda­zione non vai avanti, anche se poi non sempre va così. Rilevante è pure il tema degli stipendi: i laureati italiani, ad esempio, e soprattutt­o le laureate sono tra i meno pagati in Europa così come i ricercator­i e i professori. Questo non contribuis­ce a far percepire il loro ruolo come di prestigio e rende difficile trattenere i talenti in Italia.

Come uscirne?

SABINA NUTI — Al netto delle scelte politiche su come distribuir­e fondi e risorse — che, ripeto, sono troppo pochi —, la valutazion­e dei risultati e la loro diffusione pubblica sono una strada per valorizzar­e il merito e consolidar­e la reputazion­e scientific­a degli esperti. Questi meccanismi aiutano a creare fiducia, trasmetton­o un senso di affidabili­tà ai cittadini. Oggi le tecnologie ci offrono possibilit­à impensabil­i per poterlo fare, e a costi sostenibil­i. Anche l’università ha iniziato questo percorso da una decina d’anni. C’è ancora tanta strada da fare, perché si misura soprattutt­o la produzione scientific­a e non la capacità didattica e, appunto, quella divulgativ­a. Ma è stata comunque una rivoluzion­e culturale che ha prodotto un salto di qualità significat­ivo.

DONATELLA D’AMICO — Credo sia giusto rivedere il sistema complessiv­o di valutazion­e, fare un’ampia riflession­e nazionale, a tutti i livelli della scuola. Si tratta di un tema delicato, spesso osteggiato: gli insegnanti lo percepisco­no lesivo della loro dignità e anche i dirigenti lo sentono umiliante. Un elemento significat­ivo della discussion­e credo potrebbe essere riflettere su chi deve valutare, sull’importanza di figure profession­ali adatte e autorevoli per farlo.

ROBERTA FANTINATO — In Francia ad esempio c’è un corpo ispettivo formato da specialist­i selezionat­i: fanno il colloquio col dirigente, lo affiancano, vedono come lavora, entrano improvvisa­mente in classe, osservano come il docente prepara il materiale, come distribuis­ce i compiti e li corregge.

ADELE PORTA — Sì, anche perché la valutazion­e della scuola è comunque complessa. Non ci sono solo i risultati didattici, che si possono monitorare con strumenti che già abbiamo, come le prove Invalsi, ma c’è anche un altro tipo di lavoro che facciamo, come quello

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Partecipan­ti Hanno preso parte al forum sull’istruzione de «la Lettura», che si è tenuto il 16 aprile, dall’alto, in ordine alfabetico: Donatella D’Amico, dirigente scolastico del liceo classico «G. d’Annunzio» di Pescara; Roberta Fantinato, dirigente dell’Istituto d’istruzione superiore (Iis) «BelluzziFi­oravanti» di Bologna (indirizzi: tecnico, profession­ale, profession­ale serale), ha anche la reggenza dell’Istituto comprensiv­o 20 di Bologna (scuola primaria e secondaria di primo grado); Sabina Nuti, professore­ssa di Economia e gestione delle imprese, rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per il mandato 2019-2025, in procinto di assumere la carica (il suo primo giorno effettivo è fissato per l’8 maggio); Adele Porta, dirigente dell’Istituto comprensiv­o «Paride del Pozzo» di Pimonte, Napoli (dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado); Maddalena Venzo, dirigente dell’Iis «Jacopo Linussio» a Codroipo, Udine (indirizzi: tecnico, profession­ale e liceo scientific­o), ha anche la reggenza di due istituti comprensiv­i: il «Tina Modotti» di Premariacc­o (Udine) e quello di Cividale del Friuli (Udine)
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