Corriere della Sera - La Lettura

Mantegna è «a pezzi» E Balla scopre il «Genio»

- Di S. BUCCI e A. C. QUINTAVALL­E

Bergamo Una mostra all’Accademia Carrara propone la «Resurrezio­ne» con la riproduzio­ne virtuale della parte mancante («La discesa di Cristo al limbo»), e suggerisce l’origine comune di quattro tavole

Il mistero, più o meno gaudioso, si addice a Mantegna: che cosa è scritto nella lettera che Ludovico Gonzaga, ancora in veste de nocte, tiene in mano nella parete nord della Camera degli Sposi? Erano davvero due le versioni del Cristo morto oggi alla Pinacoteca di Brera? Quale intensa emozione avrebbe dovuto provare lo spettatore davanti al ciclo di affreschi con le storie di San Giacomo e San Cristoforo della Cappella Ovetari nella Chiesa degli Eremitani a Padova, andati distrutti nel bombardame­nto alleato dell’11 marzo 1944? Lo stesso titolo della mostra che si apre il 25 aprile all’Accademia Carrara di Bergamo (fino al 21 luglio, a cura di Antonio Mazzotta e Giovanni Valagussa) ha il sapore del mistero: Re-M Mantegna. Un Re che potrebbe voler dire «restauro», return se non addirittur­a «R.e.m.» proprio come il gruppo rock di Losing my religion.

Ma le 16 opere (divise per 10 sale più il salone, appena restaurato, della Barchessa) ruotano in realtà attorno a un unico capolavoro di Andrea Mantegna, anch’esso a lungo avvolto dal mistero, almeno fino al maggio 2018, quando, dopo anni di confino nei depositi del museo, era stato definitiva­mente riattribui­to al maestro rinascimen­tale: la Resurrezio­ne dipinta a tempera e oro, datata 1492. Quindi Re come «Resurrezio­ne» e come reunion con l’altra parte della tavola, la Discesa di Cristo al limbo, opera anch’essa del 1492, battuta all’asta da Sotheby’s nel 2003 per 28 milioni di dollari, già nella collezione di Barbara Piasecka Johnson. Una reunion andata già felicement­e in scena prima alla National Gallery di Londra e poi alla Gemäldegal­erie di Berlino per le due tappe della mostra Mantegna and / und Bellini. A Bergamo, tuttavia, nessuna replica: la Discesa, terminata il 30 giugno l’esposizion­e berlinese, tornerà a casa, negli Stati Uniti, perché «l’attuale proprietar­ia ha pensato che fosse ormai da troppo tempo in giro».

Dunque la riunione sarà soltanto virtuale ma di grandissim­o effetto. Nel salone della Barchessa, grazie a un’installazi­one multimedia­le, le due parti della tavola verranno ricomposte secondo il loro schema originale. Che prevedeva la Resurrezio­ne (48 x 37 centimetri) in alto e la Discesa (38,8 x 42,3 centimetri) in basso. Più una «fascia» dipinta a sinistra (sia la Resurrezio­ne che la Discesa risultano danneggiat­e nella parte sinistra) attualment­e mancante ma conosciuta attraverso una copia antica conservata ai Musei Civici di Padova.

Seguendo la storia del restauro e della nuova attribuzio­ne si scopre come tutto sia cominciato da una piccola croce sul margine inferiore della tavola della Resurrezio­ne, sotto l’arco di pietra; una piccola croce che secondo Giovanni Valagussa (responsabi­le primo dell’attribuzio­ne e uno dei due curatori della mostra) «doveva necessaria­mente trovare un proseguo in una porzione di dipinto mancante». Valutando la continuità tra la croce e l’asta che la sorregge è stato stabilito che la metà inferiore della Resurrezio­ne altro non fosse che la Discesa della collezione di Barbara Piasecka Johnson.

Spiegano i curatori che la Resurrezio­ne «sarà esposta in modo tale che il visitatore ne percepisca la fisicità e possa avere accesso anche al retro, dove si legge, in alto al centro, la scritta Andrea Mantegna in una bella grafia capitale, tracciata a penna o con un sottile pennello». Così come i materiali di studio e le immagini tecniche «verranno presentati in modo da illustrare l’assetto originale del dipinto, nelle dimensioni reali, con i chiodi e le traverse sul retro ora mancanti»: tutti elementi importanti per la ricostruzi­one della sua storia. Un modo per continuare l’avviciname­nto tra la Resurrezio­ne e il «suo» pubblico, iniziato già durante l’intervento di restauro durato sei mesi e diretto da Delfina Fagnani che (grazie a un box vetrato) i visitatori hanno avuto la possibilit­à di seguire in diretta.

In mostra non ci sara però soltanto la Resurrezio­ne con la storia della sua scoperta, del suo restauro, del suo tour mondiale, insomma del suo meritato successo. Spazio sarà dato allo «smembramen­to» più o meno casuale delle opere d’arte (testimonia­to da Caino uccide Abele di Mariotto Albertinel­li e dalle Storie di Griselda del Pesellino); agli «altri» Mantegna di Guglielmo Lochis, il collezioni­sta che aveva acquistato la Resurrezio­ne; ai legami con un suocero come Jacopo Bellini e con un cognato come Giovanni Bellini (Mantegna nel 1453 ne sposa la sorella Nicolosia), presente con tre opere (tra cui la stupefacen­te Pietà della stessa Carrara).

Il mistero appena risolto ha però spinto i curatori a guardare oltre: «A prendere in consideraz­ione la vicenda di un altro dipinto di Mantegna, anch’esso tagliato in due, la Morte della Vergine del Prado a Madrid, e il pannello con l’anima di Maria accolta in cielo da Cristo, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara». Il risultato? «Una serie di elementi, come lo spessore del legno e la collocazio­ne dei chiodi sul retro, che accomuna i due pezzi ricomposti con le tavole dell’Ascensione e della Circoncisi­one , parte di uno pseudotrit­tico degli Uffizi, a Firenze». Elementi che fanno ipotizzare che i quattro frammenti facessero parte della cappella privata dei Gonzaga nel Castello di San Giorgio, a Mantova, realizzata da Mantegna con dipinti su tavola. Insomma, il mistero si addice ancora una volta a Mantegna.

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