Corriere della Sera - La Lettura
Le donne, l’arme, i boschi al Teatro Greco di Siracusa
Donne e guerra. Si annuncia come un bellicoso manifesto la nuova stagione del Teatro Greco di Siracusa, che segna anche il debutto del nuovo sovrintendente della Fondazione Inda, Antonio Calbi. Protagoniste in scena tre primedonne — Laura Marinoni, Maddalena Crippa, Elisabetta Pozzi — e una regista francese Muriel MayetteHoltz.
Si inaugura il cartellone il 9 maggio con Elena di Euripide, poi dello stesso autore Le Troiane e infine Lisistrata di Aristofane. Ma sono previsti anche due eventi speciali con protagonisti uomini: il 1° luglio Luca Zingaretti, per la prima volta nella cavea del Teatro Greco, legge La Sirena dal racconto Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; il 25 luglio il pianista Ludovico Einaudi è protagonista del concerto Seven days walking.
«Ho scelto il tema Donne e guerra — spiega Calbi — perché è di feroce attualità. Non solo per i tutti i conflitti che infiammano il pianeta e per le violenze quotidiane di cui sono spesso vittime le donne, ma per accendere un riflettore sulla condizione femminile proprio a partire dall’antica Grecia, indagando questo universo in tutte le sue sfumature di sentimenti, rabbia, orgoglio, determinazione. Ciò che affermano con forza Elena, Ecuba e Lisistrata è che il mondo maschile si limita a provocare guerre, alle quali si potrebbe invece porre rimedio — e magari si potrebbero evitare — con le armi, è il caso di dirlo, della diplomazia. La domanda che ricorre, fra le tre protagoniste, è questa: perché mettere al mondo i figli, che poi vanno in guerra e non ritornano?».
Laura Marinoni è Elena, diretta da Davide Livermore, regista lirico per eccellenza, reduce dal successo al Teatro alla Scala con Attila, che per la prima volta approda a Siracusa, ambientando l’azione scenica in una grande piscina. « Elena di Euripide prende le mosse da un argomento naturalmente drammatico, la guerra di Troia, ma in realtà è una tragicommedia. Il mio personaggio è un fantasma con le sembianze di Elena — sottolinea l’attrice —. È un’illusione, un’invenzione con cui l’autore ribalta i canoni della tragedia classica, giocando la trama sulla follia del doppio: la vera Elena, infatti, non è mai stata a Troia, ma si trova in Egitto, sulle sponde del Nilo. Tuttavia, incarnando l’idea di bellezza assoluta, ovvero tutto ciò che i maschi desiderano e vorrebbero possedere, viene vista come la distruzione totale: è l’archetipo della femme fatale, dispensatrice di quel fascino che attira i maschi, dunque colpevole della distruzione di Troia. In altri termini Elena è odiata da tutti, considerata alla stregua di una prostituta, vittima di un pregiudizio, nessuno ha pietà della sua bellezza, è il capro espiatorio, attraverso il quale Euripide dice in sostanza che gli uomini sono capaci di fare la guerra per un niente, per un fantasma».
Diversa è Ecuba, impersonata da Maddalena Crippa: «Rappresenta il massimo del dolore inesprimibile — esordisce la protagonista — Le troiane sono guerriere della vita e della resistenza ed Ecuba, che da regina diventa la schiava di Ulisse, nonostante l’umiliazione subita è portatrice di un messaggio sano: le hanno ammazzato i figli e lo sposo Priamo, ma lei con orgoglio rialza la testa. La sua non è una vendetta, ma un canto d’amore sulla necessità di andare avanti: finché c’è vita c’è speranza non è un luogo comune. D’altronde, mentre gli uomini vanno in guerra, muoiono e tutto finisce lì, le donne hanno sempre portato il peso di continuare la vita, rendendola possibile anche ai superstiti. Insomma — aggiunge Crippa — questo personaggio è il più eroico degli eroi greci ed è molto importante che questa messinscena sia diretta da una donna».
Concorda la regista Mayette-Holtz, già amministratrice generale della Comédie-Française e direttrice dell’Accademia di Francia a Roma, al suo debutto sul palcoscenico siracusano: «Le donne, che non vogliono la guerra, ne diventano per forza di cose le vere eroine: le troiane di allora potrebbero essere le profughe siriane di oggi — espropriate degli affetti, delle case, delle città, della patria — che tentano di sopravvivere con ciò che resta, inventandosi un futuro. Ecuba è molto coraggiosa, accetta le sue pene, se le carica sulle spalle, ma il suo sguardo va verso l’orizzonte; è depositaria di una grande umanità».
Puro proto-femminismo è invece quello di Lisistrata: «Un vero ammutinamento strategico delle donne per cercare di evitare la guerra — osserva Pozzi, qui diretta da Tullio Solenghi —. È la storia di uno sciopero sessuale, che rappresenta un sacrificio per le donne stesse: si negheranno ai loro uomini, rifiuteranno di avere rapporti sessuali con loro finché non si decideranno a firmare la pace. Siamo in piena guerra del Peloponneso, che come tutti i conflitti segna la distruzione di un paese, di una terra, di arte e di cultura, di democrazia. Lisistrata convoca le altre mogli e madri, che come lei vedranno morire i propri cari. Riunisce non solo quelle di Atene, ma anche delle altre città coinvolte, compresa Sparta. Una coalizione in piena regola che non si limita al sesso: si impadroniscono dell’Acropoli, occupano il luogo del potere maschile, si impossessano del tesoro della lega attica, per sottrarre i soldi necessari a finanziare la guerra. Una coalizione — aggiunge l’attrice — che mi ricorda quella recentissima praticata da israeliane e palestinesi, colpite da lutti familiari per via dei troppi conflitti, impegnate a manifestare insieme per la ripresa dei negoziati affinché la pace non sia un’utopia per i due popoli del Medio-Oriente. Aristofane, che all’epoca aveva poco più di trent’anni ed era disperato, persino disgustato, a causa del periodo bellico, riesce tuttavia a farne una commedia, un’idea geniale: ridere di una tragedia. E la protagonista, che è stata spesso erroneamente declassata a una figura femminile di basso livello, una che vuole privare gli uomini del piacere, è in realtà un’eroina: negarsi al sesso significa anche negarsi alla procreazione, per non mettere al mondo altri figli da spedire in guerra, per evitare altri morti». Ragiona Marinoni: «Quando mai un gruppo di donne dichiarerebbe guerra? Per sua natura la donna è madre, dunque
La nuova stagione del Teatro Greco di Siracusa è un grido. Tre attrici (più una regista) portano in scena «Elena» (Laura Marinoni) e «Le Troiane» (Maddalena Crippa, regia di Muriel Mayette-Holtz) di Euripide e «Lisistrata» (Elisabetta Pozzi) di Aristofane. «La Lettura» le ha incontrate, perché «le troiane sono le profughe siriane di oggi; lo sciopero sessuale di Lisistrata è la protesta di israeliane e palestinesi per la pace». A questo si aggiunge l’allestimento di Stefano Boeri per «Le troiane» (a pagina 45): ho usato gli alberi sradicati dalla tempesta di ottobre in Friuli: «È un modo per dare loro una nuova vita»
cerca sempre la mediazione. Questa riflessione sul femminile punta il dito contro una società dominata dal potere maschile che, pur dipendente dalla figura materna, ha bisogno di ucciderla, di abbatterla, per affermarsi».
Da qui prende spunto il processo cui verrà sottoposta Elena. Non solo spettacoli, infatti, ma anche intriganti corollari: la regina di Sparta, per l’appunto, viene pubblicamente giudicata il 20 giugno alle ore 20. «Un processo simulato — interviene Calbi — che rientra nell’iniziativa Agon, promossa dall’associazione Amici dell’Inda in collaborazione con l’Ordine degli avvocati di Siracusa. Quest’anno salirà sul banco degli imputati la bella Elena per i reati di alto tradimento e di intelligenza con lo straniero. Dopo il dibattimento, la giuria popolare, costituita dal pubblico, esprimerà il proprio giudizio: condanna o assoluzione. Presidente della Corte sarà la giudice Livia Pomodoro».
Per Le Troiane, invece, nascerà un bosco: «Stefano Boeri firma il progetto scenico — riprende il sovrintendente — e proprio in questi giorni stanno arrivando dalla Carnia a Siracusa circa 200 tronchi di alberi che sono stati abbattuti dal tifone che ha devastato la regione a ottobre. Un bosco atterrato, una natura ferita che sarà protagonista in scena. Poi i tronchi entreranno nella filiera della lavorazione siciliana del legno, diventando mobili. Inoltre, ad ogni replica dello spettacolo, verranno regalate a cinquanta spettatori piccole piante che andranno a comporre un querceto, un parco nei dintorni della città che si chiamerà Il bosco delle Troiane. Per la prima volta — sottolinea Calbi — uno spettacolo teatrale lascia in eredità un polmone di speranza».
Il programma dell’Inda si arricchisce anche di tre mostre: la prima, presso il Museo archeologico regionale Paolo Orsi, intitolata Demetramata, è dedicata al pittore Umberto Passeretti; la seconda, intitolata Mater, alla Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, riguarda Matteo Basilè, artista della fotografia; la terza, a Palazzo Greco e al Teatro Greco, è riservata agli artisti che hanno lavorato alle Orestiadi di Gibellina, da Arnaldo Pomodoro a Mimmo Paladino. «A Passeretti abbiamo affidato il manifesto, per il quale ha dipinto una Elena in blu a seno nudo — spiega il sovrintendente — mentre di Basilè sono stati scelti tre scatti di altrettanti ritratti femminili, uno per ogni spettacolo». All’Orecchio di Dionisio sono in calendario quattro giornate per la riflessione e il confronto sui temi narrati dai poeti classici. Apre Eva Cantarella con una lezione su Donne e misoginia nel mondo
antico; chiude Lella Costa che, già interprete del suo monologo Stanca di guerra, leggerà brani della «trilogia al femminile» di Aristofane.
Riprende Laura Marinoni: «Ai suoi tempi, Euripide era considerato un misogino, invece ha creato personaggi femminili bellissimi e, proprio con la tragicommedia che interpreto supera sé stesso nella critica all’universo maschile: la leggerezza della trama avventurosa lascia, alla fine, l’amaro in bocca e il cuore di ghiaccio, perché la colpevole Elena non esiste, non c’è mai stata! Un gioco di specchi rotti». Osserva Maddalena Crippa: «Il problema, ancora oggi, è che noi donne abbiamo in mano il destino dei figli, i piccoli maschi ai quali evidentemente non riusciamo a trasmettere il rispetto per l’altro sesso e, di questo passo, femminicidio dopo femminicidio, andremo incontro a emergenze sempre peggiori». Interviene Muriel Mayette-Holtz: «Prima di tutto le donne non devono avere più paura di prendere il potere, siamo troppo umili e non dobbiamo più esserlo; dobbiamo usare la volontà per occupare posti, per raggiungere luoghi gestionali... a volte si fa fatica a convincere alcune, molto capaci, ma restie ad assumere ruoli importanti: occorre avere l’ego grande, come gli uomini». Conclude Elisabetta Pozzi: «La mia Lisistrata, tutt’altro che ammiccante o leziosa, ma molto terrena e concreta, cerca la soluzione di un problema che i mariti si mostrano incapaci di risolvere: spero di trasmettere al pubblico un urlo disperato contro la guerra, che poi esploda in una liberatoria, sonora risata».