Corriere della Sera - La Lettura
REDDITO DI CITTADINANZA SCOLASTICA
In Italia esiste una povertà educativa che va combattuta perché è allo stesso tempo l’effetto più grave e la causa più profonda di ogni altra povertà. Sovrapponendo i dati Invalsi sugli apprendimenti, quelli Pisa sulle competenze dei quindicenni, quelli Ocse sulla dispersione scolastica e sui Neet (i non impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione), quelli sulla situazione economica o sanitaria del nostro Paese, troviamo corrispondenze impressionanti.
La scuola ha smesso di essere un ascensore sociale, non perché sia diminuito il tasso di scolarizzazione — pressoché totale tra i 3 e i 14 anni — ma perché la sua reputazione si è progressivamente spenta. E con essa quella motivazione che ha spinto i miei genitori a fare debiti per mandarmi all’università. A cosa serve studiare se una laurea non aiuta a trovare lavoro? È questa la domanda che tante famiglie culturalmente «povere» fanno. Ma un livello buono di istruzione può fare la differenza. Ora il disprezzo per chi ha studiato «su libri polverosi», come ho sentito dire pochi mesi fa da un senatore della Repubblica, sembra andare di pari passo con la superficialità di chi pensa di non avere problemi solo perché non li vuole vedere.
Le persone che hanno richiesto il reddito di cittadinanza sono meno del previsto. Perché non usare i fondi rimasti (confidando nel fatto che ci siano) per stanziare borse di studio destinate alle famiglie per l’istruzione dei figli? Ho ex alunni laureati in Ingegneria che lavorano in Germania perché hanno stipendi doppi rispetto all’Italia e sanno che per ogni figlio riceveranno un assegno mensile fino alla fine dei suoi studi. In Italia siamo distanti anni luce. Le famiglie ricche iscrivono i figli nelle scuole internazionali. Perché rinunciare alla profondità della nostra tradizione culturale? Perché non dare a tutti la possibilità di imparare bene l’inglese? A questo potrebbe servire un reddito scolastico di cittadinanza.
I dati Ocse non sono solo negativi. C’è stato un aumento dei laureati e una riduzione dei tassi di dispersione, ma non basta. Serve migliorare l’offerta delle scuole puntando sulla qualità dei docenti e potenziare i percorsi professionalizzanti che possono dare una risposta a dispersione e disoccupazione. Penso agli Its, quei programmi post diploma connessi al mondo del lavoro che in Germania danno una specializzazione non accademica a un numero di studenti 30 volte superiore al nostro.
*dirigente del liceo «Marcello Malpighi» di Bologna, già sottosegretario all’Istruzione del governo tecnico di Mario Monti