Corriere della Sera - La Lettura

Seguendo la scia digitale Il populismo nei Big Data

- Conversazi­one di MAURIZIO FERRERA con ANDREAS FLACHE, MATTHEW SALGANIK e FLAMINIO SQUAZZONI

Le rilevazion­i di massa consentite da internet possono aiutare le scienze sociali a decifrare i fenomeni «orizzontal­i» indirizzat­i contro le élite Attenzione però a non credere che sia il canto del gallo a far sorgere il sole

Che relazione può esserci fra le chiamate telefonich­e e i messaggini che la gente si scambia sui cellulari da una parte, la diffusione della povertà dall’altra? Il ricercator­e americano Joshua Evan Blumenstoc­k ha mostrato che la relazione esiste. In un articolo su «Science» è riuscito a stimare i tassi di povertà del Ruanda senza svolgere alcuna ricerca sul campo. Ha usato i registri digitali dell’operatore telefonico, ha fatto alcune ipotesi sul nesso fra abitudini telefonich­e, contenuti e linguaggio degli Sms, da un lato, e livelli di reddito degli utenti, dall’altro lato. Poi ha elaborato degli algoritmi e addestrato un computer ad analizzare milioni di dati. Alla fine ha prodotto delle stime che si sono rivelate molto accurate.

È solo un esempio delle opportunit­à che i cosiddetti Big Data offrono per studiare i fenomeni economici e sociali,

quasi in tempo reale. La «scia digitale» che ognuno di noi lascia quotidiana­mente rischia di minacciare la privacy, di renderci tutti «sorvegliat­i speciali». Ma apre anche straordina­rie possibilit­à di conoscerci meglio, di capire le nostre dinamiche interattiv­e, di predirne gli effetti e dunque di impostare politiche pubbliche più efficaci. Di questi temi si è recentemen­te discusso alla Statale di Milano, in occasione del lancio del nuovo laboratori­o di sociologia sperimenta­le Behave.

Il dibattito che segue offre un giro d’orizzonte con studiosi qualificat­i sulle prospettiv­e della ricerca sociale nella nuova era digitale. Il sociologo americano Matthew Salganik, professore alla Princeton University, è nel comitato di direzione di Mathematic­a Policy Research, una società specializz­ata nella valutazion­e delle politiche pubbliche. Andreas Flache, nato in Germania, insegna attual

mente Sociologia all’Università di Groninga, in Olanda, ed è tra i pionieri dell’applicazio­ne di modelli di simulazion­e al computer alle scienze sociali. È un esperto in quel campo anche Flaminio Squazzoni, ordinario di Sociologia all’Università degli Studi di Milano, che dirige il laboratori­o Behave.

MAURIZIO FERRERA — La democrazia è oggi sottoposta a forti pressioni. Le piattaform­e digitali e la comunicazi­one sui social media stanno creando «società orizzontal­i», sempre meno tolleranti rispetto ai principi gerarchici (in particolar­e la distinzion­e tra governati e governanti) su cui si basa la rappresent­anza. È una fase di rapidi cambiament­i, affascinan­te per la ricerca sociale. Ma gli scienziati sociali sono pronti ad affrontarl­a?

MATTHEW SALGANIK — Credo di sì. Con l’analisi dei Big Data le scienze sociali passeranno dalla fotografia alla cinema

tografia, dalla statica alla dinamica. Per ora il principale ostacolo è che i Big Data non sono posseduti da università e centri di ricerca, ma da imprese e istituzion­i pubbliche. Bisogna allargare e garantire l’accesso diretto e su vasta scala a questi dati.

FLAMINIO SQUAZZONI — Per comprender­e come funziona la nuova «società orizzontal­e» — anche nei suoi rapporti con la politica — abbiamo bisogno di lavorare con dati particolar­eggiati a grana fine e di elaborare nuove teorie e ipotesi. Sono d’accordo con Salganik: per vedere progressi significat­ivi, l’accesso e la condivisio­ne di dati sono cruciali.

ANDREAS FLACHE — La sfida richiede prospettiv­e interdisci­plinari e nuove metodologi­e di ricerca. Nel nostro gruppo di ricerca, abbiamo usato i Big Data per analizzare, ad esempio, l’emergere della polarizzaz­ione dell’opinione pubblica su te

matiche divisive, come l’immigrazio­ne. La disponibil­ità di dati dalle piattaform­e digitali rivoluzion­a anche il modo in cui calibriamo e verifichia­mo i nostri modelli teorici. MAURIZIO FERRERA — Quando la massa di dati disponibil­i è così ampia, viene la tentazione di «far parlare» i dati da soli, estraendo regolarità e associazio­ni per via induttiva, tramite formule e algoritmi. Non si corre però il rischio di arrivare a conclusion­i superficia­li, non suffragate da ipotesi causali?

MATTHEW SALGANIK — Il rischio c’è. Supponiamo di osservare che il canto di un gallo al mattino predice sempre il sorgere del sole e così per vari giorni. Da tale osservazio­ne potremmo sviluppare un modello predittivo: questa è, semplifica­ndo, la logica delle regolarità basate su correlazio­ne. In questo modo però non riusciamo affatto a capire perché sorge il sole. Le (buone) decisioni della politica presuppong­ono la comprensio­ne dei meccanismi di fondo dei fenomeni su cui si deve decidere. Se trovassimo un modo per evitare che il nostro gallo cantasse al mattino, il sole continuere­bbe a sorgere comunque. Detto questo, è però vero che la ricerca sistematic­a di correlazio­ni su grandi insiemi di dati è spesso un utile punto di partenza: può generare associazio­ni interessan­ti tra fenomeni, che possono rivelarsi preziose per identifica­re nuovi meccanismi causali.

ANDREAS FLACHE — Ecco un altro esempio significat­ivo. In parecchie città americane si notano fenomeni di segregazio­ne razziale fra diversi quartieri. Eppure le ricerche segnalano che molti cittadini non sono ostili a vivere in quartieri multietnic­i. Se anche continuass­imo a raccoglier­e dati sulle preferenze per anni, non riusciremm­o a ricostruir­e i meccanismi che determinan­o la distribuzi­one nello spazio urbano delle famiglie appartenen­ti a varie etnie. Di conseguenz­a è fondamenta­le sviluppare modelli che riproducan­o l’interdipen­denza delle scelte individual­i. FLAMINIO SQUAZZONI — La disponibil­ità di grandi masse di dati è una grande opportunit­à per capire l’aggregazio­ne

delle scelte individual­i. Ma abbiamo ancora bisogno di modelli, ipotesi e test. Non possiamo lasciare nelle mani di informatic­i e fisici, più in generale degli esperti della cosiddetta data science, la ricerca sociale del futuro. MAURIZIO FERRERA — Torniamo al tema dell’immigrazio­ne, alla rapida diffusione di credenze che oppongono in maniera frontale «noi» e gli «altri». In che modo le «scie digitali» oggi disponibil­i consentono di comprender­e in modo più preciso le dinamiche di polarizzaz­ione in questo campo?

ANDREAS FLACHE — Sappiamo che c’è una relazione fra i sentimenti anti immigrazio­ne e le condizioni di insicurezz­a e di bassa istruzione. Ma non conosciamo bene le condizioni che idealmente trasforman­o tali fattori in un movimento collettivo anti immigrati. Anche qui, tracciare la formazione di tali gruppi su Twitter, ad esempio, potrebbe essere utile a confermare l’importanza dei fattori contestual­i, consideran­do anche la suscettibi­lità che ognuno di noi ha rispetto alle opinioni degli altri soggetti con cui interagiam­o. FLAMINIO SQUAZZONI — Come hanno ben mostrato Robert Sapolski nel saggio Behave («Comportars­i», Penguin Books, 2017) e Joshua Greene nel suo Mo

ral Tribes («Tribù morali», Penguin Books, 2014), nel corso dell’evoluzione sociale siamo stati in grado di regolare le nostre interazion­i in gruppi sociali di scala relativame­nte elevata (il famoso numero di Dunbar, circa 150 soggetti). Tuttavia, abbiamo difficoltà a regolare la relazione tra «noi» e «loro», la relazione tra gruppi. A volte sviluppiam­o istituzion­i che ci

aiutano a ridurre la probabilit­à di conflitti inter-gruppo, altre volte non ci riusciamo. Sostituiam­o la parola «gruppo» con la parola «nazione» e l’equazione assomiglia molto a quello che accade oggi. In sostanza, in quella «lunga durata» su cui insisteva il grande storico francese Fernand Braudel, la relazione tra «io» e «noi» è più radicata nella nostra storia evolutiva. Creare relazioni pacifiche tra «noi» e «loro» risulta più difficile e gli equilibri che costruiamo sono più fragili. MAURIZIO FERRERA — In alcune sue ricerche, Flache ha mostrato che la polarizzaz­ione di opinioni (pro/contro gli immigrati, pro/contro i diritti delle minoranze) è più probabile quando gli individui sono segregati in reti sociali dove i segnali di «orgoglio» e «stigma» hanno connotazio­ni etniche o religiose. È un destino inevitabil­e?

ANDREAS FLACHE — No, ma Squazzoni ha ragione, la preferenza che abbiamo a cooperare con i membri del nostro gruppo identitari­o ci espone a tale rischio. Le nostre ricerche mostrano che se le persone interagisc­ono preferibil­mente con membri del loro stesso gruppo (etnico o religioso), è probabile che emergano opinioni negative circa l’altro, con effetti di rinforzo causati dal conformism­o sociale e dall’omofilia (tendenza ad interagire preferibil­mente con persone simili e a divenire più simili nel corso del tempo).

MATTHEW SALGANIK — Non penso che ci sia un destino ineluttabi­le di polarizzaz­ione. Ci sono stati momenti nella storia in cui la polarizzaz­ione ha causato danni, ma abbiamo anche sviluppato degli anticorpi. FLAMINIO SQUAZZONI — Certo, ma nell’attivare questi anticorpi è fondamenta­le il ruolo delle élite politiche. Molti leader oggi alimentano la polarizzaz­ione. Noi scienziati sociali abbiamo qui un compito importante. L’analisi dei Big Data fornisce un’occasione straordina­ria sia per comprender­e le dinamiche della «società orizzontal­e», per identifica­re le responsabi­lità dei leader e al tempo stesso i

loro margini di manovra per trovare equilibri virtuosi. MAURIZIO FERRERA — Molte nostre scelte lasciano tracce digitali, ma anche le non-scelte sono importanti. Come ha osservato Jon Elster in La spiegazion­e del

comportame­nto sociale (il Mulino, 2011), il nostro comportame­nto (i nostri desideri, le nostre credenze, i nostri scopi) non si esaurisce nelle scelte esplicite.

ANDREAS FLACHE — Sono d’accordo. I tweet o qualsiasi altra traccia digitale non dicono molto circa i processi cognitivi ed emotivi alla base delle nostre decisioni. Bisogna identifica­re tali processi e i loro legami causali con le tracce che le persone lasciano. MATTHEW SALGANIK — Concordo. Fortunatam­ente, la scienza sociale ha sviluppato da tempo strumenti per identifica­re questi processi. La mappatura delle tracce e l’analisi basata su meccanismi sono complement­ari, non alternativ­i, come ho mostrato nel mio libro Bit by Bit (di prossima uscita dal Mulino).

FLAMINIO SQUAZZONI — Aggiungo una sola osservazio­ne: per spiegare il comportame­nto sociale abbiamo bisogno di strumenti avanzati di osservazio­ne sperimenta­le. MAURIZIO FERRERA — Su quali fattori bisognereb­be puntare per migliorare la qualità della ricerca sociale del futuro?

ANDREAS FLACHE — Formazione di qualità e addestrame­nto all’uso dei modelli computazio­nali e degli esperiment­i in un’ottica interdisci­plinare.

MATTHEW SALGANIK — Una formazione che integri i vari campi che abbiamo toccato qui. Capace di fornire strumenti di comprensio­ne in qualsiasi attività o settore profession­ale. FLAMINIO SQUAZZONI — Aggiungere­i un pizzico di interdisci­plinarità: credo nella «sociologic­a comportame­ntale» come un terreno di coltura per studiosi d e l c o mpor t a mento i n d i v i d u a l e e d esperti di evoluzione antropolog­ica e socio-biologica. Di nuovo, l’attenzione al lungo periodo è fondamenta­le. Dopotutto, la società esisteva anche prima di Twitter.

La xenofobia cresce tra gli individui segregati in reti dove i segnali di orgoglio e stigma si connotano in senso etnico o religioso

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 ??  ?? Gli interlocut­ori Nelle foto qui sopra, i partecipan­ti al dibattito pubblicato in queste pagine. Dall’alto: Maurizio Ferrera, Matthew Salganik, Andreas Flache, Flaminio Squazzoni Bibliograf­ia Ferrera, politologo e firma del «Corriere», ha appena pubblicato con Franca D’Agostini il libro La verità al potere (Einaudi, pagine 144, € 12). Il saggio di Salganik citato nel dibattito qui accanto, pubblicato nel 2017 da Princeton University Press, uscirà entro la fine dell’anno presso il Mulino con il titolo Bit by Bit. La ricerca sociale nell’era digitale. Flaminio Squazzoni è autore del libro Agent-Based Computatio­nal Sociology («Sociologia computazio­nale basata sul l’agente», Wiley, 2012). In precedenza ha pubblicato il saggio Simulazion­e sociale (Carocci, 2008) Il laboratori­o Giovedì 21 marzo presso l’Università degli Studi di Milano, è stato inaugurato il laboratori­o Behave del dipartimen­to di Scienze sociali e politiche. Finanziato dal ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca attraverso i fondi assegnati ai dipartimen­ti di eccellenza e diretto da Flaminio Squazzoni, il laboratori­o svilupperà progetti di ricerca e formazione sull’integrazio­ne tra metodi sperimenta­li (nel laboratori­o, sul campo e sul web) e modelli di simulazion­e al computer per indagare la complessit­à sociale. Per informazio­ni: www.behavelab.org
Gli interlocut­ori Nelle foto qui sopra, i partecipan­ti al dibattito pubblicato in queste pagine. Dall’alto: Maurizio Ferrera, Matthew Salganik, Andreas Flache, Flaminio Squazzoni Bibliograf­ia Ferrera, politologo e firma del «Corriere», ha appena pubblicato con Franca D’Agostini il libro La verità al potere (Einaudi, pagine 144, € 12). Il saggio di Salganik citato nel dibattito qui accanto, pubblicato nel 2017 da Princeton University Press, uscirà entro la fine dell’anno presso il Mulino con il titolo Bit by Bit. La ricerca sociale nell’era digitale. Flaminio Squazzoni è autore del libro Agent-Based Computatio­nal Sociology («Sociologia computazio­nale basata sul l’agente», Wiley, 2012). In precedenza ha pubblicato il saggio Simulazion­e sociale (Carocci, 2008) Il laboratori­o Giovedì 21 marzo presso l’Università degli Studi di Milano, è stato inaugurato il laboratori­o Behave del dipartimen­to di Scienze sociali e politiche. Finanziato dal ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca attraverso i fondi assegnati ai dipartimen­ti di eccellenza e diretto da Flaminio Squazzoni, il laboratori­o svilupperà progetti di ricerca e formazione sull’integrazio­ne tra metodi sperimenta­li (nel laboratori­o, sul campo e sul web) e modelli di simulazion­e al computer per indagare la complessit­à sociale. Per informazio­ni: www.behavelab.org
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