Corriere della Sera - La Lettura

Bello e caotico: il Codice da Vinci che non c’era

Leonardo non compose mai l’Atlantico, raccolta postuma di suoi materiali

- Di EDOARDO VILLATA

Leonardo non compose alcun Codice Atlantico, né esso figurava tra i manoscritt­i e i volumi lasciati per testamento all’allievo Francesco Melzi. Il nome è entrato nell’uso grazie ai dottori della Biblioteca Ambrosiana: nel 1780 Baldassarr­e Oltrocchi (autore di importanti Memorie storiche su Leonardo) designava così il volume: «Codice delle sue carte in forma atlantica», per distinguer­lo dagli altri 12 manoscritt­i vinciani, di formato molto più piccolo, allora in possesso dell’istituzion­e milanese. Il nome deriva quindi dal formato. Il volume (cm 67 x 44), di complessiv­e 401 carte, era stato allestito verso la fine del Cinquecent­o dallo scultore Pompeo Leoni.

Dopo la morte di Francesco Melzi, nel 1569, era iniziata la dispersion­e dei materiali leonardesc­hi, e Pompeo Leoni ne aveva fatto incetta: dalla sua

raccolta provengono anche i fogli oggi nella Royal Library di Windsor Castle, i manoscritt­i custoditi all’Institut de France di Parigi, i codici Forster del Victoria and Albert Museum di Londra, il Codice Trivulzian­o oggi nella omonima Biblioteca al Castello Sforzesco di Milano, il Codice sul Volo degli uccelli appartenen­te alla Biblioteca Reale di Torino e probabilme­nte anche i manoscritt­i della Biblioteca Nacional di Madrid.

Forse dopo il rientro a Madrid, nel 1590, Pompeo si mise a sistemare il materiale raccolto secondo criteri di impatto estetico e curiosità. Dopo aver selezionat­o i disegni più belli anche a costo di ritagli e smembramen­ti, Leoni organizzò il materiale rimanente, pari a circa 1.750 pezzi, dai grandi bifogli ai minuscoli frammenti, montandoli in uno spettacola­re volume dal formato, per l’appunto, simile a quello

degli atlanti geografici. Dobbiamo comunque credere che fin da principio i fogli si presentass­ero sciolti, o al massimo, in qualche caso, si trattasse di pochi quaterni legati insieme, ma non di veri «codici»: lo dimostra il fatto che i codici veri e propri furono lasciati intatti. La legatura originale portava questa iscrizione, che a rigore costituisc­e il vero «titolo» del Codice Atlantico: «DISEGNI. DI. MACHINE. ET/ DELLE. ARTI. SEGRETI./ ET. ALTRE. COSE./ DI. LEONARDO. DA. VINCI/ RACCOLTI. DA./ POMPEO. LEO/NI».

Leoni morì nel 1608 e il suo patrimonio leonardesc­o (a esclusione dei codici Forster e dei fogli ora a Windsor) passò a Cleodoro Calchi, che per 300 scudi li cedette al conte milanese Galeazzo Arconati. Nel 1626 il cardinale Francesco Barberini ottiene da Arconati il permesso di far copiare tutti i testi vinciani di sua proprietà; il lavoro di copiatura, concluso nel 1643, fu condotto a partire dal 1637 in Ambrosiana: in quell’anno Arconati donò alla biblioteca fondata da Federico Borromeo il Codice che noi chiamiamo Atlantico, 11 dei 12 manoscritt­i oggi a Parigi, il Codice Trivulzian­o e quello sul Volo degli uccelli, all’epoca però rilegato insieme all’attuale Ms. B di Parigi.

Da quel momento il Codice Atlantico divenne una delle principali curiosità dell’Ambrosiana, e spesso i diari di viaggio di chi intraprend­eva il Grand Tour in Italia menzionano, talvolta con divertita ammirazion­e e talvolta con delusione, il carattere caotico, pieno di strani progetti e di misteriosi disegni, della compilazio­ne leonardesc­a. In una delle più diffuse guide, il Voyage d’Italie del Cochin del 1773, si legge che «si fanno notare delle bombe, e si pretende che siano state inventate da lui [Leonardo] in quei tempi, ma è facile vedere che sono disegnate da un’altra mano».

Tutti i manoscritt­i vinciani dell’Ambrosiana furono trasportat­i a Parigi nel 1796. Lì il destino dei volumi leonardesc­hi si separò: i piccoli manoscritt­i furono collocati all’Institut de France e il Codice Atlantico finì alla Bibliothèq­ue Nationale. Dopo il Congresso di Vienna ogni potenza vincitrice mandò incaricati a recuperare le opere d’arte trafugate da Napoleone: l’austriaco barone di Ottenfels si interessò dei codici di Leonardo solo su pressione di Antonio Canova, commissari­o dello Stato della Chiesa, e solo presso la Bibliothèq­ue Nationale, dove trovò il Codice Atlantico, che fu l’unico a tornare in Ambrosiana.

Il Codice fu restaurato presso l’Abbazia di Grottaferr­ata tra 1962 e 1972; i fogli e i frammenti, per un totale di 1.119 pezzi, furono staccati, rinumerati e rimontati in 12 volumi, cambiandon­e quindi per sempre la struttura fisica. Nel 2008 il Codice Atlantico fu sfascicola­to, e venne trasformat­o di fatto in una grande raccolta di fogli sciolti di diverse dimensioni. Essi, abbraccian­do una cronologia che va dal 1478 al 1518, comprendon­o quasi l’intero arco dell’attività di Leonardo e rappresent­ano la più completa e complessa testimonia­nza della sua vita sia intellettu­ale sia quotidiana.

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