Corriere della Sera - La Lettura
Pennelli, coraggio, libertà L’arte di essere artiste
Vite parallele Elisabetta Rasy ricostruisce l’esistenza e il genio di sei pittrici: Artemisia Gentileschi, Élisabeth Vigée Le Brun, Berthe Morisot, Suzanne Valadon, Frida Kahlo, Charlotte Salomon
Talento speciale di Elisabetta Rasy è saper indagare i personaggi storici avvicinandoli a chi legge come se fossero suoi e nostri contemporanei, ben vivi qui accanto, tali, quasi, da poterne sentire le voci, ascoltarne le conversazioni, osservarne le battaglie, le vittorie e le sconfitte, gli amori felici e quelli infelici, le fortune favorevoli o avverse. Né importa che abbiano vissuto cento, duecento, anche cinquecento anni fa: sono tutti ugualmente presenti come se i secoli che li separano da noi fossero leggera polvere che, soffiando un poco, si disperde. Quasi sempre sono donne l’oggetto delle sue indagini, donne che per lo più oggi sono note, artiste (abbastanza) considerate, ma che ai loro tempi hanno dovuto combattere duramente per ottenere un qualche riconoscimento, per avere licenza di seguire la loro assoluta vocazione.
Numerose sono le figure femminili che, negli anni, Elisabetta Rasy ha indagato nei suoi saggi, da Sibilla Aleramo ad Anna Achmatova, da Grazia Deledda a Hannah Arendt, da Ada Negri a Edith Wharton, per citarne solo alcune. Questa volta, nel suo nuovo libro, Le disobbedienti (Mondadori) ha preso in esame sei pittrici, distintesi in un campo nel quale le donne, fino ancora ai giorni nostri, sono sempre state vistosa minoranza, considerate buone al massimo per fare il delizioso ritratto ai figli bambini o per acquarellare le rose fiorite in giardino.
Le sue sei protagoniste hanno di sicuro fatto tutte quante il ritratto a figli e nipotini e altrettanto di sicuro è capitato loro di dipingere dei fiori, però oggi hanno almeno l’una o l’altra delle loro opere appese in qualche importante museo, non raramente nelle stesse sale di prestigiosi colleghi come Caravaggio o Picasso. Sono, le sei, in ordine temporale, Artemisia Gentileschi, Élisabeth Vigée Le Brun, Berthe Morisot, Suzanne Valadon, Frida Kahlo e Charlotte Salomon.
Un’italiana, tre francesi, una messicana e una tedesca, vissute in tempi distantissimi, con origini, storie, esperienze e culture diverse, eppure così straordinariamente simili nella loro ostinazione a voler dipingere a tutti i costi, nonostante l’indifferenza o, peggio, la dichiarata disistima non soltanto degli ambienti artistici ma, spesso, perfino della propria famiglia, nient’affatto entusiasta di avere una figlia pittrice, non dedita, dunque, alle faccende domestiche ma nemmeno in condizione di portare a casa dei bei soldi e, di conseguenza, anche piuttosto difficile da maritare. Intrepide è forse l’aggettivo che più si adatta alle sei artiste, e cioè decise a realizzarsi, come si direbbe oggi, senza rinunciare a nulla, anche in tempi in cui la vita della maggioranza delle donne era fatta per l’appunto di rinunce. Dire che queste donne hanno tutte qualcosa di molto moderno è una banalità, eppure così ci appaiono nei ritratti che ne ha fatto la scrittrice. Che per ricostruirne la vita si è avvalsa, sì, di biografie, memorie ed epistolari, ma anche delle loro opere, spesso autoritratti, che ha osservato, studiato, interpretato con meticolosa attenzione; e con sentimento, se così si può dire, ben decisa a cogliere il segreto di ciascuna di loro.
È questo, infatti, il modo molto speciale di Rasy di raccontare i suoi personaggi. Nei ritratti che ne fa sembra aver unito al meglio le sue due professioni, quella di giornalista e quella di narratrice, entrambe esercitate per un gran numero di anni. La cronista riferisce con precisione avvenimenti e fatti, la scrittrice ricostruisce, con istinto sicuro, l’impalpabile, il non detto, il mistero appunto. Il risultato è un saggio romanzato, e difficilmente il lettore saprà — ma c’è forse bisogno di saperlo? — dove finisce il vero e dove incomincia il verosimile. Il tutto è, infatti, perfettamente amalgamato dall’elegante, ricca e immaginifica scrittura dell’autrice.
Tornando alle sei pittrici, la vita non fu clemente con nessuna. Chi venne violentata a 18 anni da un amico del padre e al processo fu costretta a difendersi, secondo una prassi dei tribunali assai dura a morire, chi fu costretta a un lunghissimo esilio per salvarsi dal terrore della Rivoluzione francese, chi fu sempre presa in considerazione e apprezzata soltanto come modella e musa, e non come pittrice, chi venne, a causa del suo mestiere, trattata da donna di malaffare, chi fu sentimentalmente tanto maltrattata al punto da morirne quasi.
Eppure, nonostante le difficoltà seminate lungo il loro cammino come un arduo percorso a ostacoli, tutte quante sono riuscite presto o tardi a vincere la loro battaglia e a ottenere una qualche forma di riconoscimento. Più di tutte, e già in vita, forse Frida Kahlo, oggi definitivamente accolta tra i veri grandi; meno di tutte di sicuro l’ infelicissima Charlotte Salomon, esclusa dall’Accademia berlinese che avrebbe voluto frequentare in quanto ebrea e uccisa ad Auschwitz a 24 anni: la sua opera omnia, che durante la fuga aveva affidato a un amico medico francese, fu scoperta soltanto dopo la sua morte, a guerra finita.