Corriere della Sera - La Lettura
Crusoe resiste al destino Non al tempo che scorre
Nel trecentesimo anniversario del romanzo di Daniel Defoe esce in Italia la trasposizione a fumetti del francese Christophe Gaultier Un eroe individualista e industrioso che deve fare i conti con l’altro da sé
«Poiché ero nato per essere il distruttore di me stesso, mi precipitai a testa bassa verso il mio miserabile declino», confessa a sé stesso il Robinson Crusoe che Christophe Gaultier ha trasposto in fumetto (Tunué) dal romanzo di Daniel Defoe. Figlio di un mercante di Brema emigrato in Inghilterra, Robinson dovrebbe diventare avvocato; ma compiuti i 19 anni abbandona la vita d’ufficio, per cercare l’avventura solcando «il profondo mare azzurro»: la distesa d’acqua che Gaultier rende con tutte le gradazioni di quel colore, fino al viola e al nero dell’uragano. Crusoe, capitato dopo varie peripezie in Brasile, si reimbarca sulla nave negriera Santo Evaristo: «Ero padrone a bordo, dopo Dio e il capitano». Con «una tempesta infernale» la nave si schianta sulla costa di un’isola sconosciuta. Unici superstiti Robinson e il cane del comandante. Quanto a Dio, pare scomparso nell’alto dei cieli.
Gaultier ha scelto così di illustrare le traversie di un uomo che è capace di resistere alla disgrazia. Robinson utilizza tutto quel che resta sul relitto per edificare, a terra, un solido fortino. Si costruisce una grande croce, su cui incide la data del suo arrivo (30 settembre 1659) e dove ogni giorno segna una tacca per non perdere la coscienza del tempo. «Fino ad allora, la mia condotta non si era affidata a nessun principio religioso», ammette. Sì, «di certo, siamo stati tutti fatti da una qualche segreta potenza che ha formato la terra e l’oceano, l’aria e i cieli»; capire che cosa «voglia» questa potenza è il problema. Robinson, per intanto, dimostra la propria eccellenza «in ogni sorta di lavoro meccanico».
Un giorno si imbatte nell’orma di un piede nudo sulla spiaggia. La traccia del passaggio dell’altro da sé mette in crisi il suo individualismo. Se abbiamo letto Defoe, sappiamo come andrà a finire. Robinson scopre che gli indigeni di qualche isola vicina vengono a compiere «ignobili omicidi» sulle spiagge ove lui ha trovato scampo. Decide di intervenire e con i colpi del suo fucile salva una vittima che altrimenti sarebbe stata divorata. La battezza Venerdì («Ecco il nome che porterai per farti riconoscere da Dio. E dagli uomini»), dopo aver constatato che lo stato di natura è di guerra perpetua. Però, Venerdì è un «innocente». Tempo dopo, una nave britannica getta l’ancora al largo. L’equipaggio si è ammutinato, e ha abbandonato il capitano e i pochi fedeli sul litorale. Robinson riesce, però, a domare gli insorti, recuperando l’imbarcazione. Legge e ordine sono riaffermati; Robinson può ora raggiungere l’Inghilterra. Vi arriva l’11 giugno del 1687. Con un amico come Venerdì, acquisterà una proprietà nello Yorkshire. Nelle ultime vignette dovremmo vederlo soddisfatto e felice… Ma Gaultier ci rivela, invece, le sembianze di un anziano deluso. Da una patria che non riconosce più? Da una «civiltà» che non è lontana, come si vorrebbe, dalla barbarie? Da una superiorità che è solo apparenza? O magari, più semplicemente, dall’urto del tempo, che non smette di corrodere ogni cosa.