Corriere della Sera - La Lettura

Cavalcasel­le l’«inventore» di Antonello

- Di ANNA GANDOLFI

Una parte significat­iva della mostra su Antonello da Messina ospitata al Palazzo Reale di Milano è dedicata a una figura di grande fascino: Giovan Battista Cavalcasel­le (1819-1897), viandante dell’arte, esplorator­e di musei, interprete di attribuzio­ni. I suoi taccuini, presto online, sono un tesoro

«Quasi illetterat­o, aveva per i letterati la reverenza che si ha per il mistero. Chiudeva i suoi grandi occhi davanti agli storici, agli eruditi anche impostori. Eppure bene avrebbe potuto tenerli spalancati lui che, sin dal 1846, coi soli rudimenti datigli dall’Accademia veneziana, ardente di vedere le opere in terra straniera, aveva visitato la Pinacoteca di Monaco di Baviera insieme con un biondo figlio d’Albione incontrato in viaggio: il Crowe. E nel 1847, con la sua bisaccia sulle spalle, pellegrino dell’arte, era corso a piedi per le gallerie sulle rive del Reno e s’era inoltrato a gran passi nel Belgio e in Olanda». Adolfo Venturi, luminare del moderno metodo della storia dell’arte («di un dipinto va osservato il complesso»), nel 1927 scrive le proprie Memorie e tra le pagine consegna uno dei più bei ritratti di colui che sempre ha ritenuto un maestro: Giovan Battista Cavalcasel­le. Un pioniere «i cui appunti, per gli studiosi, sono il Vangelo». Appunti frenetici, sparsi su migliaia di fogli e quaderni a testimonia­nza di

viaggi continui per l’Europa alla ricerca di capolavori da osservare, capire, scoprire.

Cavalcasel­le, nato a Legnago (Verona) nel 1819 e morto a Roma nel 1897, storico quasi autodidatt­a, vive senza glorie nonostante sia autore di attribuzio­ni rivoluzion­arie. Macina chilometri visitando chiese e palazzi, seguendo indizi recuperati negli archivi parrocchia­li e nelle bibliotech­e, ascoltando testimonia­nze. Giunto al cospetto di un dipinto lo scruta, lo riproduce nell’insieme e nei dettagli, annota — spesso in dialetto — riflession­i. Frecce, rimandi. La fotografia ancora non è diffusa e lui, «rabdomante dell’arte» (definizion­e di Roberto Longhi), copia e incrocia le tracce come l’investigat­ore incrocia le prove. Nel 1873 è a Vienna davanti a un San Sebastiano in mostra: da sempre il dipinto è dato a Giovanni Bellini. A lui però non quadra. Schizza la sagoma dalla prospettiv­a anomala, dall’alto al basso, rileva il «chiacchier­iccio delle ragazze» ritratte sullo sfondo. Ci pensa. Infine la matita gratta la pagina: «Bellini no-Antonello». Sentenza definitiva. Antonello aveva lavorato in laguna, mescolando lo stile fiammingo a quello veneto — di cui il coevo Bellini è maestro — poi andando oltre. La confusione è comprensib­ile, ma Cavalcasel­le taglia corto: «L’opera si dimostra dei tardi anni del soggiorno veneziano del messinese, in un tempo cioè che il suo stile fiamminghe­ggiante trapassa in puro stile veneziano». Pochi giorni dopo la Gemäldegal­erie di Dresda fa un’offerta al proprietar­io: l’acquisto è fulmineo, l’autore mai più messo in discussion­e. E ancora oggi il San Sebastiano di Antonello è tra i pezzi più gelosament­e custoditi dal museo.

Il verdetto di Cavalcasel­le sulla tavola di Dresda è in mostra a Palazzo Reale, a Milano, dove pagine tratte da sette taccuini fanno da guida ai dipinti nella retrospett­iva dedicata ad Antonello da Messina. L’intenzione del curatore, Giovanni Carlo Federico Villa, è dare pari dignità espositiva ai capolavori dell’artista e ai quaderni che condensano l’umile, certosino lavoro dello studioso errante a cui si deve di fatto il primo catalogo dell’autore. «Antonello — spiega Villa — è stato per secoli una figura mitica ma priva di opere e riscontri visivi, fino a che a lui non si è dedicato Cavalcasel­le. I suoi fogli sono fondamenta­li per la calibrazio­ne storica dell’artista. E sono, a volte, l’unica fonte attraverso cui vedere capolavori perduti».

Un caso eclatante è quello del polittico di San Nicola benedicent­e di Messina, distrutto dal sisma del 1908: Cavalcasel­le lo osserva nel 1860 nel convento di San Girolamo realizzand­one una copia a penna che è l’unica immagine complessiv­a esistente. Sempre lui è autore della riattribuz­ione del San Girolamo

nello studio, oggi alla National Gallery di Londra. Grazie alle conoscenze accumulate durante i viaggi riesce a farsi aprire per ben tre volte — tra agosto e settembre 1854 — le porte della dimora di sir Thomas Baring nell’Hampshire. Vuole esaminare un quadro del fiam

mingo Jan van Eyck. Ma, anche qui, qualcosa non torna. C’è «stoviglia veneta». Poi, il berretto: «La dolcezza e carattere della piega di questo cappuccio è come Bellini». Ingrandisc­e il dettaglio. La prova sta lì, nel tessuto: «Il carattere della piega è di Antonello». Ed è il tassello definitivo per certezza di attribuzio­ne.

«Ammiravo quel metodo: avrebbe preparato, se bene inteso, un grande catalogo della pittura italiana», scrive ancora Venturi.

A lungo, però, Giovan Battista Cavalcasel­le è rimasto nell’ombra. Figlio di piccoli possidenti, lascia gli studi in ingegneria per iscriversi all’Accademia di belle arti di Venezia. Quasi subito preferisce impiegare i suoi soldi in viaggi in Veneto e poi in Europa. Vuole vedere dal vivo i capolavori descritti nei libri o, magari, trovarne di nuovi. Nel 1848 è in Belgio quando sente dell’insurrezio­ne del Lombardo-Veneto contro l’impero e — spedite a Legnago le proprie carte — torna a Padova, dove si arruola nella legione degli studenti. Arrestato a Piacenza, viene condannato a morte ma riesce a scappare in Inghilterr­a. Cruciale l’amicizia con Joseph Archer Crowe, giornalist­a britannico e appassiona­to di pittura come lui: si erano conosciuti nel 1847 in una stazione postale tedesca e, dopo i moti, si ritrovano avviando un sodalizio intellettu­ale destinato a durare per la vita. Insieme scrivono testi acclamati all’estero eppure, come A history of pain

ting in North Italy (1871), recepiti con difficoltà o mai tradotti in Italia.

Colpito dalla capacità d’osservazio­ne di Cavalcasel­le, sir Charles Lock Eastlake, primo direttore della National Gallery di Londra, gli assegna consulenze. Proprio Eastlake riesce a far avere allo studioso un passaporto per tornare in Italia: lì, nel 1861, il ministro Francesco De Sanctis gli affida, con Giovanni Morelli, il censimento delle opere fra Marche e Umbria per frenarne la dispersion­e. Il lavoro dura dal 27 aprile al 9 luglio. Senatore liberale, Morelli, mazziniano irredento e spiantato, Cavalcasel­le: finiscono col detestarsi. Il primo definisce il secondo «illetterat­o, rozzo e autore col Crowe di testi meschiniss­imi» (riassunto del pensiero di chi non ne riconoscer­à le capacità per anni); il secondo stigmatizz­a del primo «la cupidigia del guadagno, sotto maschera d’amore delle arti». Due mesi di fuoco. Poi le strade si dividono.

Nel 1867 Cavalcasel­le diventa ispettore al Bargello di Firenze con uno stipendio di duemila lire: cosa modesta, ma pur sempre il primo della sua vita (ha 48 anni). Terrorizza­to dal tornare povero, compra addirittur­a in anticipo una bara per il proprio funerale e la tiene in camera da letto.

«La sua fama in Europa cresceva — racconta Villa — soprattutt­o grazie alla pubblicazi­one della History. Eppure restava sottovalut­ato da larga parte della critica in Italia. Quando il principe Federico di Prussia, a Firenze nel 1868 per le nozze di Umberto di Savoia, si presenta al Bargello e chiede del “grande Cavalcasel­le”, gli impiegati pensano a uno scherzo». Non lo era. E poco cambia anche quando, nel 1871, diventa ispettore centrale per le Belle arti. Muore a Roma il 31 ottobre 1897: la sua fine passa quasi inosservat­a.

Un genio a lungo nell’oblio. «Ma taccuini e fogli sparsi, lucidi e veline — prosegue il curatore della mostra di Palazzo Reale — negli ultimi anni sono sempre più citati e utilizzati in quanto riproduzio­ni di originali a volte irrintracc­iabili». Quattordic­i scatole, 15 mila fogli con 80 mila disegni: un patrimonio custodito alla Biblioteca nazionale Marciana di Venezia dal 1904, lascito della vedova Angela Rovea. Una miniera di appunti — su Antonello come su Bellini, Mantegna, Botticelli, Tiziano, Raffaello, i fiamminghi — delicatiss­imi e sottoposti a rigide regole di tutela conservati­va. Censiti negli anni Ottanta, riversati su microfilm e poi digitalizz­ati, per molto tempo consultabi­li solo in sede. Ma ora c’è il salto nel futuro: grazie a un accordo fra il ministero per i Beni e le attività culturali e MondoMostr­e-Skira, che organizza l’esposizion­e milanese, è stata finanziata la messa online del materiale. Migliaia di fogli stanno per sfilare sotto gli occhi degli studiosi di tutto il pianeta. Una ribalta globale per il rabdomante dal fiuto infallibil­e che potrebbe (di nuovo) riservare sorprese.

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 ??  ?? Il francoboll­o Giovan Battista Cavalcasel­le (Legnago, 1819 - Roma, 1897) è stato commemorat­o con una emissione speciale nel 1997
Il francoboll­o Giovan Battista Cavalcasel­le (Legnago, 1819 - Roma, 1897) è stato commemorat­o con una emissione speciale nel 1997
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Dettagli
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 ??  ?? Testimonia­nze e verdetti A sinistra: San Nicola di Bari in cattedra in atto di benedire con otto storie dei suoi miracoli. Il polittico è disperso dal 1908: Cavalcasel­le lo osserva nel 1860 nel convento di San Girolamo a Messina, realizzand­one una copia che, oggi, è l’unica immagine complessiv­a esistente. Nel duomo di Milazzo esiste una riproduzio­ne, che però è totalmente mancante dei quadri di contorno. L’attribuzio­ne, seppure con alcune successive precisazio­ni («Se non è suo, di quale allievo potrebbe essere?», annota lo studioso), va ad Antonello. A destra: San Sebastiano, tavola del 1478 oggi alla Gemäldegal­erie di Dresda. Cavalcasel­le la esamina durante una mostra a Vienna, nel 1873: era di proprietà di un privato, attribuita a Giovanni Bellini. Lui però è scettico, nei suoi quaderni riproduce i dettagli: alla fine conclude che si tratta di un lavoro di Antonello da Messina. Il verdetto («Bellini no-Antonello», evidenziat­o nell’ovale in alto) è proprio su uno dei fogli oggi in mostra a Milano. I taccuini di Giovan Battista Cavalcasel­le sono conservati alla Biblioteca Marciana di Venezia
Testimonia­nze e verdetti A sinistra: San Nicola di Bari in cattedra in atto di benedire con otto storie dei suoi miracoli. Il polittico è disperso dal 1908: Cavalcasel­le lo osserva nel 1860 nel convento di San Girolamo a Messina, realizzand­one una copia che, oggi, è l’unica immagine complessiv­a esistente. Nel duomo di Milazzo esiste una riproduzio­ne, che però è totalmente mancante dei quadri di contorno. L’attribuzio­ne, seppure con alcune successive precisazio­ni («Se non è suo, di quale allievo potrebbe essere?», annota lo studioso), va ad Antonello. A destra: San Sebastiano, tavola del 1478 oggi alla Gemäldegal­erie di Dresda. Cavalcasel­le la esamina durante una mostra a Vienna, nel 1873: era di proprietà di un privato, attribuita a Giovanni Bellini. Lui però è scettico, nei suoi quaderni riproduce i dettagli: alla fine conclude che si tratta di un lavoro di Antonello da Messina. Il verdetto («Bellini no-Antonello», evidenziat­o nell’ovale in alto) è proprio su uno dei fogli oggi in mostra a Milano. I taccuini di Giovan Battista Cavalcasel­le sono conservati alla Biblioteca Marciana di Venezia
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 ??  ?? In alto: lo studio di Cavalcasel­le per Ritratto d’uomo (a destra, l’opera del 1470, oggi al Museo fondazione Mandralisc­a di Cefalù): è lo studioso a segnalarlo per la prima volta, nel 1860. A sinistra: San Girolamo nello studio (1475 circa, National Gallery, Londra): è Cavalcasel­le, con i suoi esami (sotto) ad attribuire l’opera ad Antonello nel 1854
In alto: lo studio di Cavalcasel­le per Ritratto d’uomo (a destra, l’opera del 1470, oggi al Museo fondazione Mandralisc­a di Cefalù): è lo studioso a segnalarlo per la prima volta, nel 1860. A sinistra: San Girolamo nello studio (1475 circa, National Gallery, Londra): è Cavalcasel­le, con i suoi esami (sotto) ad attribuire l’opera ad Antonello nel 1854

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