Corriere della Sera - La Lettura
La mia regata veneziana con 52 sfumature di rosso
Melissa McGill ha una lunga storia lagunare d’amore artistico (qui ha realizzato «The campi», registrando suoni e voci della città) e d’amore privato (qui ha sposato suo marito: un texano). A «la Lettura» presenta la «Red Regatta»
Un giorno d’estate vedremo uno sciame di vele rosse attraversare il bacino di San Marco. O le scorgeremo ormeggiate a grappoli, come una macchia ondeggiante in qualche angolo di Venezia. Una Red Regatta, una regata rossa. Così l’ha immaginata Melissa McGill, una sorta di campo semantico che sprigioni insieme allarme e passione, il legame con l’acqua e gli impasti di colore dei maestri della pittura.
L’artista newyorkese, classe 1969, torna a lavorare su Venezia, dopo il progetto The campi di due anni fa. Allora aveva registrato i suoni e le voci di tre «piazze» del centro storico e li aveva raccolti in scatole-carillon ognuna con la forma del campo auscultato. Si potevano ammirare nella casa-studio Scatturin (modellata su progetto di Carlo Scarpa), nascosta in una calle a fianco di Campo Santo Stefano e nella vicina galleria Giorgio Mastinu, una delle più fascinose della città.
Ora McGill fa l’operazione contraria e lancia in acque aperte un seme iconico di venezianità. Protagoniste, decine di imbarcazioni armate di vele rosse, tutte rigorosamente vele al terzo, tipiche della tradizione locale, fondo piatto e albero rimovibile per manovrare nei bassi fondali. La incontriamo nei grandi capannoni dello Spazio Thetis, in Arsenale Novissimo, giù sulla punta estrema della città lagunare, dirimpetto agli spazi della Biennale che dall’11 maggio apre la sua 58ª edizione. Un nugolo di ragazzi è al lavoro, studenti dell’Università Iuav che l’artista ha coinvolto. Sono tutti indaffarati, pennelli e spazzole di scope in mano, a irrorare di rosso le grandi tele del velame. Lei dà indicazioni, rassicura, spiega, prepara le alchimie di colore. Si trovano qui ogni giorno: ne devono preparare 104, due per ognuna delle 52 barche che parteciperanno, grandi tra i 15 e i 59 metri quadrati. Fatte produrre ap
positamente per il progetto, alla fine delle regate rosse l’artista le regalerà ai proprietari delle singole imbarcazioni.
Melissa McGill ama l’arte pubblica. Quando parla per la prima volta dei suoi progetti, «certo, magari all’inizio mi guardano un po’ strana — sorride —. Ma in Italia la prima reazione è di meraviglia, i problemi e gli ostacoli si affronteranno dopo. Forse è per questo che progettare un lavoro qui mi appare sempre speciale». E poi c’è il fatto che «mi piace immergermi nei luoghi e usarli come materiale vivo — racconta a “la Lettura” —. E alla fine trascino con me tanti soggetti, prima di tutto chi vive quel luogo».
A Venezia, ad esempio, saranno all’opera 250 persone, a cominciare dagli armatori e i loro equipaggi. In prima fila l’associazione Vela al terzo, impegnata da sempre a tenere in vita la cultura del mare in una città che è laguna prima di ogni cosa, prima persino di palazzi, ponti e chiese, cosa che pure tanti veneziani spesso dimenticano. Non è solo questione di preservare una tradizione, dice Giorgio Righetti, alla guida di Vela al terzo: «Queste barche in legno dimostrano anche le possibilità dell’energia eolica rispetto al motore in un ambiente così delicato». Questione annosa: la città è ferita dal continuo moto ondoso in una ridda di taxi, motoscafi, trasporto merci e vaporetti, fino a quelle navi da crociera da alcuni anni sotto accusa. E poi, aggiunge Righetti, «siamo entusiasti dell’idea che sia un progetto d’arte a celebrare i nostri cantieri navali e i nostri velai». Il che spiega anche l’interesse della stessa amministrazione comunale di collaborare al progetto, collegandolo ai suoi tentativi di turismo sostenibile.
Di ogni barca Melissa McGill ha chiesto la storia e i ricordi personali di chi la usa, un puzzle corale destinato al librocatalogo che documenterà tutto il processo. « Red Regatta vuole essere un vero intervento di comunità», sottolinea. Non a caso ha fatto leva su una tradizione locale: «Ogni imbarcazione arma una maestra e una trinchetta o un fiocco decorati con stemmi o simboli di ogni famiglia di navigatori». Un tempo erano realizzati sul cotone con tinte naturali. Lei qui tinteggia l’intera vela, come un’unica campitura, «e ogni barca è distinta per le variazioni di rosso — continua l’artista — ne ho messe a punto decine, dalle più aranciate alle più rosate, scure o accese, in modo da creare una coreografia cromatica nel movimento sull’acqua». E aggiunge: «Quel rosso ricorda pure i mattoni e i tetti in terracotta della città, il bocolo di rosa per la festa di San Marco, evoca l’antico commercio dei pigmenti e i dipinti di Tiziano e Tintoretto». Il «rosso veneziano» non è che una specifica tonalità di rosso, appunto.
Sono tre le regate in programma (il 22 giugno, il primo e il 15 settembre), oltre a incursioni di più piccole dimensioni e ormeggi coreografici, ma anche workshop e incontri. Questi ultimi saranno organizzati da una no-profit americana, la No Longer Empty, impegnata in programmi pubblici che usano l’arte come tessitura sociale.
Come per The Campi anche in questa occasione Melissa McGill si avvale della regia di Chiara Spangaro: « Red Regatta è un’opera straordinariamente potente — afferma la curatrice —. E ha la capacità di richiamare l’equilibrio tra dimensione umana, paesaggio urbano e ambiente naturale». Confermato anche il sodalizio con Magazzino Italian Art, la fondazione di Nancy Olnick e Giorgio Spanu, che ha sede a Cold Spring, New York. Impegnata a valorizzare l’arte italiana contemporanea, si è ormai ritagliata un posto di primo piano tra i nuovi collezionisti-mecenati internazionali. È grazie a Magazzino, peraltro, che il progetto è stato presentato il 28 marzo nella sede delle Nazioni Unite in contemporanea con il meeting dell’assemblea Onu «Climate Protection for All». E come due anni fa, McGill dimostra di saper entrare in uno spazio intimo dell’identità veneziana, come pochi ormai sanno fare, trovando ancora nuovo materiale creativo in una città divorata dalla propria fama. «A Venezia vengo spesso e ci ho vissuto due anni, tra il 1991 e il 1993», racconta. E aggiunge, ridendo: «Qui, a Malamocco, al Lido, ho persino sposato mio marito: un texano».