Corriere della Sera - La Lettura
La traversata dell’inverno alle origini di Seamus Heaney
La poesia di Seamus Heaney (19392013) tiene insieme, per un dono, il parlare dettagliatamente e in concreto dei suoi oggetti e l’alludere ad altro. Quando in Wintering Out (1972) perlustra la torba, la palude, il fango alluvionale, il poeta futuro premio Nobel sta continuando un suo personale scavo. È evidente e insieme insondabile il luogo di quello sprofondamento, di quello scandaglio, come lui dice. La stratificazione densa e materica in cui il poeta si cala è, per forza di cose, la lingua stessa. Ma essa evita di rinchiudersi in sé, di essere l’oggetto di una metafora.
La parola di questa terza, storica raccolta di Heaney, appunto Traversare
l’inverno (ora ritradotta interamente da
Marco Sonzogni e pubblicata da Gabriele Capelli Editore, dopo la scelta inclusa nel «Meridiano» Mondadori delle Poesie), è tutta dedita a percorrere, varcare. L’inverno, la foschia, le cose sono oggetto in sé e insieme discorso figurato. L’uomo fossile della torbiera riemerge, porta alla luce il suo travaglio (che forse allude a quello dell’Irlanda del Nord, anche se il ritrovamento ha luogo in Danimarca).
Il poeta indugia nel punto in cui la lingua (vera, sottile protagonista del libro) è rugosa. Misurare l’estensione di ciò che è tattile e visibile significa anche mappare il suo continuo sfuggire alla comprensione. Ciò che è qui e così è anche il cuore dell’enigma.