Corriere della Sera - La Lettura
Attenti al Pfos nell’acqua potabile Un sensore tiene d’occhio i rubinetti
L’allarme è stato lanciato dall’Unione Europea nel 2006, con l’introduzione di una serie di restrizioni nell’uso del Perfluorottano sulfonato (Pfos), una sostanza resistente al degrado che conferisce proprietà idrorepellenti e ignifughe ai tessuti su cui viene applicata. I composti del Pfos — la molecola più diffusa della famiglia dei perfluoroalchilici (Pfas) — sono utilizzati nell’ambito industriale per la produzione, ad esempio, di tessuti
impermeabili e antimacchia. La difficoltà nello smaltimento del Pfos ha attirato negli ultimi anni l’attenzione degli scienziati, tanto che un team di quattro studiosi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ha messo a punto nel giro di due anni il prototipo di un sensore, alla portata di tutti, che permette di misurare la sua concentrazione nell’acqua. «Qui in Veneto il problema è la presenza del Pfos nelle falde acquifere», spiega Paolo Ugo, professore di Chimica analitica alla Ca’ Foscari, coordinatore del team che ha brevettato il sensore. «Fino a cinque anni fa non esisteva una vera regolamentazione. Oggi, su indicazione del ministero della Salute, il livello del Pfos nell’acqua potabile non dovrebbe superare i 30 nanogrammi per litro, perché altrimenti potrebbe presentare rischi per l’uomo. Il nostro chip funziona come il glucometro usato per misurare la glicemia. Basta mettere una goccia d’acqua sul sensore, o immergerlo, e il sistema elettronico a cui è collegato mostra il livello di Pfos». Prima di poter essere messo in vendita (soltanto il chip, monouso, potrebbe costare tra i 10 e i 20 euro), il sistema dovrà essere sottoposto a un’ultima fase di test.