Corriere della Sera - La Lettura

L’incontro difficile tra cristiani e musulmani

Un anno fa il Pew Research Center, uno degli istituti di indagini più importanti del mondo, pubblicò una ricerca in cui l’Italia appariva il Paese dell’Europa occidental­e più diffidente verso islamici e immigrati. Un mese fa i nuovi dati hanno evidenziat­o

- da Uppsala (Svezia) MARCO VENTURA

Per metà dei cristiani dell’Europa occidental­e l’islam è incompatib­ile con cultura e valori della propria nazione. Il 30% non è disposto ad accettare un familiare musulmano. Per il 25%, gli immigrati dal Medio Oriente sono disonesti. Seconda solo al Portogallo per tasso di cristiani tra la popolazion­e (80%, la metà praticanti), l’Italia è il Paese con la più alta percentual­e di chi vorrebbe che l’immigrazio­ne si riducesse (52%). Tra i cristiani dell’Europa occidental­e, quelli italiani sono in cima alla classifica della negatività su musulmani e immigrati.

L’istituto indipenden­te americano Pew Research Center ha pubblicato un anno fa questi dati, frutto di interviste condotte tra aprile e agosto 2017 su un campione casuale di 24 mila maggiorenn­i in dodici Paesi. Sembrano confermare il quadro i nuovi dati pubblicati il mese scorso dal team di ricerca sulla religione del Pew diretto da Alan Cooperman. Se

condo questa indagine mondiale sugli atteggiame­nti verso i migranti, dal 2014 a oggi la percentual­e di italiani che ritengono gli immigrati una risorsa è diminuita del 7% e si attesta oggi al 12%, mentre in Francia, Spagna e Regno Unito è aumentata del 10% e tocca il 60%. «La Lettura» incontra Cooperman in Svezia, all’Università di Uppsala, in occasione di una riunione di direttori di centri di ricerca sulla religione.

L’Italia è il Paese più anti-immigrati dell’Europa occidental­e?

«Siamo precisi: per le varie domande dell’indagine, l’Italia è nelle posizioni di testa tra i Paesi con la maggiore percentual­e di popolazion­e con opinioni negative circa migranti e musulmani».

Ma nella vostra «scala di negatività» verso immigrati e musulmani, l’Italia è nettamente il primo Paese.

«La scala è da interpreta­re con prudenza. Il risultato varia a seconda delle domande che abbiamo posto. In Italia come altrove c’è una pluralità di opinioni. In generale la maggioranz­a degli italiani rigetta gli stereotipi anti-islamici. Inoltre molti italiani non esprimono un senso di superiorit­à culturale, come avviene in altri Paesi».

Insomma, sta sulla difensiva.

«No. Ma sarebbe un paradosso che in un’indagine sugli stereotipi cadessimo in uno stereotipo sugli italiani».

Dalla vostra indagine emerge un’Europa in cui conta ancora la religione.

« L’ i mportanza del l a re l i gi one per l’identità nazionale è forte nei Paesi ortodossi dell’Europa centrale e orientale, dalla Grecia alla Russia. È meno forte nell’Europa occidental­e».

Però se guardiamo i vostri dati sui cristiani europei, anche nell’Europa occidental­e la religione condiziona la percezione dell’altro.

«C’è certamente una correlazio­ne tra come la gente si percepisce da questo punto di vista e l’atteggiame­nto verso migranti e musulmani».

Una percentual­e considerev­ole degli europei occidental­i dichiara ormai di non appartener­e ad alcuna religione. Più del 40% in Belgio e Olanda, Svezia e Norvegia. Il 15% in Italia.

«Costoro tendono a vedere la religione come un fattore meno importante. Sono meno religiosi, anche se alcuni magari credono in Dio».

Solo l’11% dei non affiliati a una religione si dichiara contrario a un eventuale familiare musulmano, contro il 30% dei cristiani. Il 30% dei non affiliati ritiene l’islam incompatib­ile con la cultura e i valori nazionali, contro il 50% dei cristiani.

«Proprio perché la religione conta poco nelle loro vite, i non affiliati danno meno peso all’identità religiosa. Ciò sembra rifletters­i in un’opinione più favorevole nei confronti delle minoranze e degli immigrati. È un dato che riscontria­mo in diverse risposte e in diversi Paesi».

Un dato su cui i cristiani dovrebbero riflettere.

«Ricordiamo­ci che questo riguarda una parte soltanto dei cristiani. Certo non tutti. Non possiamo dire che i cristiani in generale siano anti-immigrati».

Ma molti di loro lo sono.

«In ogni Paese dell’Europa occidental­e c’è una fetta di popolazion­e che esprime una serie di opinioni negative su immigranti e musulmani. Quelli che si identifica­no come cristiani sono una larga parte di quella fetta. Ciò non vuol dire che non ci siano anche cristiani che la pensano diversamen­te».

Colpisce che nell’intensità delle opinioni anti-musulmane e anti-immigrati non vi sia differenza tra cristiani praticanti e non praticanti.

«La chiave è l’identità. Per questa fetta di popolazion­e, il riferiment­o al cristianes­imo è anzitutto una questione d’identità...».

...un’identità distinta dalla pratica e dal credo?

«Abbiamo intervista­to le persone nel periodo più acuto della crisi siriana. Questo è il dato di una particolar­e congiuntur­a storica. Pare trattarsi di un’identità reattiva, cui le persone ricorrono per reazione a una minaccia. Come il fatto di trovarsi di fronte a ondate di immigrati. Dieci anni fa probabilme­nte avremmo avuto risposte diverse».

Non sembra stupirla un’identità cristiana europea indipenden­te dall’andare o meno a messa, e persino dal credere o meno in Dio.

«Questa non è un’eccezione. È la norma ovunque nel mondo. Per tutte le religioni. In modi diversi, gradi diversi, certo; ma è lo schema comune. Per questo nelle nostre indagini mettiamo l’identità, la pratica e il credo in diversi cesti di domande».

Sugli immigrati conta l’identità e non la pratica, la religiosit­à. Andare a messa non cambia nulla.

«È la cosa che colpisce in questa indagine. Sull’aborto sappiamo che di norma a un più alto tasso di religiosit­à corrispond­e una posizione più conservatr­ice. Su immigrati e musulmani no. Essere praticanti o non praticanti non conta. La differenza è nulla».

L’identità religiosa è il fattore più importante nel determinar­e opinioni negative su immigrati e musulmani?

«Prima c’è l’appartenen­za politica. Abbiamo chiesto agli intervista­ti di collocarsi su una scala da destra a sinistra. Coloro che hanno opinioni negative su immigrati e musulmani si sono posizionat­i a destra. Poi viene l’identità religiosa. Attenzione: non la religiosit­à, l’identità. E poi l’istruzione».

L’istruzione?

«È un fattore predittivo importante. La popolazion­e più istruita tende a essere meno negativa».

La maggiore sorpresa della ricerca...

«...è l’età. Che l’età non faccia differenza. Giovani e meno giovani si dividono in eguale proporzion­e. Con una leggera differenza per l’Italia, dove i giovani sembrano più inclini dei meno giovani ad accettare musulmani ed ebrei».

Ecco, torniamo all’Italia. Potremmo spiegarci un dato nazionale così negativo con la maggiore sincerità degli italiani?

«Potrebbe darsi. Sappiamo che ci sono differenze nazionali sulla distorsion­e determinat­a nel singolo intervista­to da ciò che si ritiene socialment­e desiderabi­le. Può accadere che in altri Paesi pesi di più sugli intervista­ti la paura di dire qualcosa di inaccettab­ile nella società...».

...di politicame­nte scorretto...

«...sì, è possibile. Noi del resto misuriamo i sentimenti che vengono espressi. Non posso entrare nella testa della gente. So soltanto quello che vogliono dirmi...».

...ma allora...

«...non per questo i risultati sono meno significat­ivi. Al contrario. È molto importante misurare ciò che la gente ritiene di poter dire in un certo contesto, in una data società. E chi dice cosa. Ad esempio le persone più istruite, o le donne che sembrano leggerment­e meno negative degli uomini in questa indagine. O i cristiani, che al contrario paiono voler dire certe cose».

E dunque quanto sono attendibil­i i vostri dati?

«Dobbiamo lavorare su ampia scala. Siamo consapevol­i che gli individui sono complicati, unici. Ma i grandi numeri possono consentirc­i di vedere cose importanti».

L’Italia emerge da questa indagine come un Paese molto negativo sugli ebrei. Un quarto degli intervista­ti non accettereb­be un familiare ebreo. Per il 36% gli ebrei esagerano sulle persecuzio­ni del passato. Sono numeri molto più alti della media nell’Europa occidental­e. Cosa pensa di questo antisemiti­smo, lei che è ebreo?

«Non abbiamo dati a sufficienz­a per definire questi risultati come indicativi di antisemiti­smo».

Sarebbe stato importante chiedere l’opinione degli ebrei europei, oltre che quella dei cristiani.

«Il nostro campione è determinat­o casualment­e. In esso troviamo cristiani e non affiliati, cattolici e protestant­i, ebrei e musulmani. Ma non abbiamo avuto un numero sufficient­e di ebrei, e nemmeno di musulmani, per giungere a un dato significat­ivo».

Dobbiamo allora limitarci per ora alle opinioni su ebrei e musulmani e non di ebrei e musulmani.

«Il dato è tuttavia molto importante. Osserviamo dappertutt­o una correlazio­ne tra le opinioni negative sui musulmani e quelle sugli ebrei. Come nel caso italiano, tanto maggiore è la percentual­e negativa sull’islam, tanto maggiore è la percentual­e di opinioni negative sull’ebraismo».

È un risultato davanti al quale non si può restare indifferen­ti.

«Noi del Pew Research Center non formuliamo raccomanda­zioni per gli attori. Ma anche alla luce delle nostre ultime indagini, questo è un dato che i leader ebrei e musulmani devono conoscere».

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