Corriere della Sera - La Lettura

’Ndrangheta & C. Gli affari si fanno in bar e ristoranti

Le cosche puntano su locali e intratteni­mento notturno. Il caso di Milano

- Di CESARE GIUZZI

Al sequestro si affianca la revoca della licenza, strumento già usato per tre bar di corso Como. Pronti 50 provvedime­nti

Il bar di corso Europa ha un nome familiare, «Vecchia Milano». Le guglie del Duomo distano una manciata di passi, e alle spalle s’intravede la sagoma austera del Palazzo di Giustizia di corso di Porta Vittoria. In una mafia che vive di riti arcaici e contraffat­ti, dove si mischiano i padri della patria Mazzini e Garibaldi, con il conte Ugolino e i santi della Chiesa cattolica, certi simbolismi non possono essere bollati come semplici giochi del caso.

La storia del bar tabacchi «Vecchia Milano» racconta di una mafia arrivata nel cuore della capitale economica del Paese, di una famiglia di ’ndrangheta tra le più antiche e potenti che ha il suo nido (e il suo cervello) sulle pendici d’Aspromonte, ma cuori che pulsano in ogni parte del mondo. Dalla Germania alla Spagna, fino all’Australia. Era l’inverno di sei anni fa

quando Rocco Barbaro da Platì (Reggio Calabria), oggi 53enne, che da poco aveva finito di scontare una condanna a 15 anni per narcotraff­ico, veniva ripreso dalle telecamere dei carabinier­i di Milano mentre, avvolto in un giacchino di renna marrone, stava sulla soglia del locale di corso Europa insieme a quelli che, da lì a pochi giorni, gli avrebbero ceduto le quote del bar dopo un girotondo di società e prestanome. A fare da tramite vecchi e nuovi personaggi della ’ndrangheta e soprattutt­o il figlio Francesco, 29 anni, che insieme al cugino Antonio prenderà la gestione del locale.

Rocco e Francesco Barbaro da anni vivevano a Buccinasco, comune di quasi 30 mila abitanti ricco di verde e di palazzine residenzia­li, diventato da almeno quarant’anni il feudo del clan più potente al Nord, la cosca BarbaroPap­alia. Francesco porta il nome del nonno, Ciccio ’u Castanu, morto a 91 anni lo scorso novembre nel carcere di Parma, ultimo discendent­e del capostipit­e Francesco Barbaro, classe 1873. Un clan, quello dei «Barbaro Castani», che ha attraversa­to la storia della vecchia e nuova mafia calabrese, passando dai furti di capre ai sequestri di persona, fino al controllo mondiale del narcotraff­ico e, da ultimo, al reinvestim­ento delle immense ricchezze

della ’ndrangheta nell’economia «pulita». Per la vicenda «Vecchia Milano», Rocco Barbaro — che fino al momento della sua cattura nel 2017 era, secondo l’antimafia, al vertice delle cosche lombarde — è stato condannato a 16 anni, il figlio Francesco a 8 anni.

La ’ndrangheta, soprattutt­o al Nord, ha in questo ultimo decennio scelto la strategia dell’inabissame­nto: confonders­i nel mondo economico e istituzion­ale cercando di mostrare la faccia più pulita. Lasciando da parte, almeno fin quando non strettamen­te necessario, il volto violento e sanguinari­o. La ’ndrangheta è riconosciu­ta nel mondo criminale — dal narcotraff­ico al recupero crediti, fino al procacciam­ento di voti — come un soggetto di elevata affidabili­tà. Un’azienda in grado di rispettare la parola data, di sostituirs­i (come nelle questioni civilistic­he) allo Stato garantendo tempi di intervento rapidi e se necessario modi «muscolari». E, scorrendo le ultime indagini sulle cosche in terra lombarda, piemontese e ligure, sono stati spesso gli «insospetta­bili» (imprendito­ri, profession­isti, politici) a rivolgersi alle cosche per una sorta di problem solving illegale. Ovviamente sempre a vantaggio dei clan, come hanno dimostrato le indagini sul caso «Perego Holding» o sul call center «Blue call» dove gli imprendito­ri si sono poi ritrovati spogliati delle proprie aziende.

La Lombardia è la quinta regione per il numero di aziende confiscate (236, secondo i dati dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati). I «soldi» si fanno fuori dal territorio d’origine, in particolar­e per un’organizzaz­ione come la ’ndrangheta che ha nel narcotraff­ico il core business con l’80 per cento delle entrate stimate. E in questo senso Milano è il più grande mercato d’Italia. Ma quello che la storia del bar di corso Europa racconta è anche altro: una progressiv­a differenzi­azione del business del riciclaggi­o che in una prima fase aveva riguardato l’edilizia, a partire dal settore a più bassa specializz­azione come il movimento terra. Oggi la ristorazio­ne e l’intratteni­mento notturno rappresent­ano una frontiera sempre più importante.

La gestione delle aziende confiscate però non è facile. Anzi, quasi la totalità delle imprese sottratte ai clan finiscono per essere chiuse. Con la ristorazio­ne il problema aumenta, come più volte ha spiegato il capo della Dda di Milano Alessandra Dolci. Perché la mafia vive di concorrenz­a sleale (a cominciare dalla mancata applicazio­ne d e i c o n t r a t t i d i l a vo r o ) e p e r c h é , drammatica­mente, a volte il bar funziona proprio perché riconosciu­to come vicino a questa o quella famiglia criminale. Succede soprattutt­o nei quartieri periferici. I bar rappresent­ano un avamposto sul territorio, un osservator­io e un luogo d’incontro, come ha testimonia­to l’inchiesta «Infinito» dove i summit si svolgevano ai tavoli, compresi quelli della trattoria «la Cadrega» di Pioltello.

Per questo, insieme all’azione giudiziari­a con sequestro e confisca, a Milano negli ultimi anni si è affiancato un nuovo strumento, non penale ma amministra­tivo, che porta alla revoca della licenza in caso di «sospetto di condiziona­mento della criminalit­à organizzat­a sull’impresa». In questo modo il Comune e la Prefettura hanno chiuso locali come il ristorante «Unico» all’ultimo piano della torre di via Achille Papa, in Fiera. O come tre bar della centraliss­ima corso Como, compreso il modaiolo «Dom».

In questo caso a pesare sono stati i contatti con la cosca Morabito-Palamara di Africo. L’elenco delle interditti­ve ha ormai toccato quota 34 negli ultimi tre anni. Tra queste anche la gioielleri­a della moglie di un boss di Cosa Nostra in via Cavallotti. E locali storici della mafia come il famigerato «Bar Lyons» di Buccinasco, un tempo ufficio degli affari della cosca Papalia. Un’onda pronta a diventare uno tsunami: sul tavolo dell’Antimafia sono pronti altri 50 provvedime­nti.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy