Corriere della Sera - La Lettura
Foto di famiglia con una voragine: i fratelli Cervi raccontati dal padre
Sette i figli maschi di Alcide e Genoveffa Cervi: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore. Fucilati tutti insieme il 28 dicembre 1943 dai fascisti per rappresaglia (sette / uno). Storia che diventò leggenda. Toccante ritrovare oggi, scivolata dietro uno scaffale, l’ edizione del 1955 di I miei sette figli, di Alcide Cervi, a cura di Renato Nicolai. Formato una spanna, collana Il Milione degli Editori Riuniti, lire 50. Numerose le edizioni successive, una con
prefazione di Sandro Pertini, ma guardiamo questa copertina: un contadino falcia il grano e una contadina lo raccoglie; dietro, nella quarta, i Cervi al completo: padre e madre circondati dai sette figli maschi e dalle due figlie femmine. Un’altra foto, scattata poco dopo (e non presente qui) contiene un vuoto anzi una voragine: il nonno è circondato solo da donne, le nuore incinte o con piccolissimi bambini. Falciati via come grano tutti i papà e anche la nonna, presto morta di crepacuore, come si suol dire, senza forse sbagliare. Anche perché per mesi, con sforzo inaudito, lasciò credere al marito, malato, che i sette figli fossero stati solo deportati. Degli undici capitoli del libro, solo l’ultimo è dedicato alla «Morte dei figli e della madre», ma nodali tutti i precedenti per i riferimenti storici che vedono interpreti gli antenati Cervi sin dal 1869 (carcere per la ribellione alla tassa sul macinato). Grandi le pagine sul «Livellamento delle terre», e tragicomica la rievocazione della guerra ai Boeri (... E chi sono? Cinesi. E dalla Cina vengono qui? No, siamo noi che andiamo lì. E perché? Si sono rivoltati. Contro l’Italia? No, contro l’Inghilterra. Ah.).