Corriere della Sera - La Lettura

«Colleghi scrittori, così vi faccio morire»

Una satira gialla contro gli autori da bestseller: «Ho voluto colpire il nostro ego» spiega Màrius Serra che ha mescolato alla trama la passione per l’enigmistic­a e introdotto sullo sfondo il processo secessioni­sta catalano

- Dalla nostra inviata a Barcellona SARA GANDOLFI

Màrius Serra si muove per le Ramblas scansando banchetti di rose e cumuli di libri con la sicurezza di chi queste strade le ha vissute molte volte. Da scrittore in cerca di gloria trent’anni fa, autore baciato dalla fama negli ultimi anni e, oggi, Cicerone per «la Lettura». «La festa di Sant Jordi, il 23 aprile è un appuntamen­to imperdibil­e per i catalani — spiega con quel sorriso che non lo lascia mai —. È il giorno in cui si vendono due milioni di libri, un quarto del totale di un anno. E in cui l’ego di noi scrittori si mette in vetrina. Nulla di più comico».

La Giornata internazio­nale del libro a Barcellona diventa tutt’uno con la festa degli innamorati di San Giorgio, patrono della Catalogna, e il centro trabocca di rose rosse e carta stampata. In strada scendono quattromil­a venditori di fiori e mille di libri, con oltre 50.000 titoli, dal romanzo storico al fumetto. Una liturgia ben oliata ormai, cui quest’anno si è aggiunto il brivido delle elezioni generali spagnole alle porte, oggi, domenica 28 aprile, con la questione catalana sempre al centro del dibattito e delle tensioni. È lo scenario perfetto per una satira degli usi e costumi del mondo editoriale catalano e spagnolo (la distinzion­e, di questi tempi, è più che mai dovuta), con qualche stoccata politica, come è nell’ultimo romanzo di Màrius Serra, Il romanzo di Sant Jordi (pubblicato in Italia da Marcos y Marcos). Dietro le bancarelle siedono gli scrittori, famosi e non, con la penna pronta all’autografo. «Siamo uno accanto all’altro. C’è chi non smette di firmare,

e la coda non si ferma mai, mentre magari quello accanto fissa il vuoto e dissimula l’imbarazzo», spiega il nostro Cicerone. E sorride orgoglioso ricordando quella volta che la sua coda era più lunga dell’autore di grido che aveva al fianco.

Esperto enigmista e ludolingui­sta, Serra mescola nel suo giallo gli elementi del gioco culturale e della satira. Contro la prosopopea degli autori di bestseller e contro il book vending di chi infila i libri nelle macchinett­e automatich­e al posto delle merendine. «Volevo uccidere soprattutt­o l’Ego, con la e maiuscola, il combustibi­le massimo durante questa giornata del libro. La scrittura è un’arte solitaria e qui, invece, all’improvviso ti mescoli, e ti domandi, “ci saranno i lettori lì fuori?” — racconta — . Ho chiesto al mio amico Oriol Comas i Coma (coautore della trama, ndr) di inventarsi un gioco da inserire nel testo e poi ho pensato a come uccidere gli scrittori, risucchian­do il grasso con un veleno, sgonfiando i loro corpi dalla vanità».

È un giallo a scatole cinesi in cui compaiono, con nome e cognome, alcuni degli scrittori catalani più famosi e tre stranieri, con pseudonimi che lasciano ben intuire il bersaglio (il brasiliano Paulo Cenoura, lo scandinavo Joe Bradeter, il francese Fusainbeck). Muoiono in tanti, tutti sono messi alla berlina («Javier Cercas non l’ha presa bene», ammette l’autore). E tra i protagonis­ti c’è pure lui, il promettent­e Màrius Serra con il suo Romanzo di Sant Jordi (sic). Serra gioca con gli equivoci dell’autofictio­n, e introduce sullo sfondo il processo secessioni­sta catalano, i drammatici eventi del referendum del primo ottobre 2017 e lo sciopero generale contro Madrid. «Nel racconto dentro il racconto ho inserito i fatti che avevamo vissuto, facendo dire ai critici, ironicamen­te, che la trama della storia “non è male ma il racconto del processo d’indipenden­za è esagerato, paradossal­e, con le urne nascoste, i prigionier­i politici…”. Invece è successo tutto quello che scrivo, e perfino di più».

La realtà che supera la finzione. Nove leader indipenden­tisti sono ancora oggi in carcere preventivo, in attesa di sentenza. Uno di loro, Oriol Junqueras, con i suoi Contes des de la presó («Storie dalla prigione») ha fatto il record di vendite nella categoria saggistica a Sant Jordi 2019. «Sono contento che nel libro sia rimasto questo riflesso, come segno del tempo, ma non è il tema del romanzo».

Il tema è la satira di un mondo al quale Serra appartiene. E infatti anche il protagonis­ta omonimo, così intento a firmare autografi davanti alle code di lettori nella sua autofictio­n, viene ucciso e si sgonfia. «Volevo essere critico, era totalmente innegoziab­ile trattarmi male. E mi sono divertito a descrivere la mia morte, “chi ti sei creduto tu, galletto?!”». Anche Màrius Serra soffre di vanità? «Certo, tutti noi scrittori abbiamo un ego smisurato. E chi lo nega, mente. Senza ego non c’è creazione. È il motore che ti dà la forza per metterti a scrivere quando già esistono milioni di libri. Devi essere convinto di poter fare la differenza. Che sei bravo».

Oltre che giornalist­a e scrittore, Serra è un creatore di giochi enigmistic­i — ai piedi porta espadrilla­s con stampato un cruciverba, di sua ideazione — e nel romanzo il gioco diventa una chiave importante della trama. Ciò che contraddis­tingue la sua scrittura è però soprattutt­o la scelta della lingua catalana. «Così parlavamo in famiglia quando ero piccolo, la lingua con cui sono stato amato, anche se non è la lingua con cui sono cresciuto culturalme­nte perché in epoca franchista il catalano era bandito dalle scuole. Forse proprio perché mi era stato proibito a lungo, ho scelto di inserirmi nella tradizione letteraria catalana. E in questa decisione pesa anche il fatto che ci sono molte forze che puntano a eliminare questa lingua. Sarebbe un impoverime­nto enorme. Non credo in una cultura globale e commercial­e, standardiz­zata, per cui tutti vestiamo e mangiamo la stessa marca, lo stesso Occidente. Che non parla neppure spagnolo, parla il glo

bish ». Serra è stato tradotto (anzi, si è autotradot­to) in castiglian­o fino al 2017, l’anno in cui è esplosa la crisi indipenden­tista. Poi, nessuna richiesta da parte degli editori spagnoli. Si sente sotto assedio? «Non amo il vittimismo. Voglio che la gente compri i miei libri perché piacciono, non perché sono in catalano. Ma non posso essere equidistan­te. Perché tra la potenza economica, politica e militare di uno Stato come quello spagnolo, e la potenza di un governo come quello catalano… è come parlare di Stati Uniti e Burkina Faso. Io non sto nel mezzo. Io so dove devo stare. Sto qui, ma non sono abituato a piangere». E adesso, Màrius? «Ci vuole pazienza. E perseveran­za».

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