Corriere della Sera - La Lettura

Il pranzo è servito: realismo magico nel paese siciliano

- Di MARZIA FONTANA

Tea Ranno narra le vicende di un borgo deturpato da un’industria petrolchim­ica

L’amurusanza in dialetto siculo è un piccolo dono, un gesto gentile, buon cibo che testimonia affetto sincero e regala gioia. Ed è una rivoluzion­e non armata a colpi di amurusanze a cambiare la vita di un paesino della Sicilia orientale arroccato in collina nel nuovo romanzo della siracusana Tea Ranno, premio Rea nel 2012 con La spo

sa vermiglia. Sarebbe uno splendore quel borgo in cui tutti gli abitanti si conoscono per nome, quando nell’agosto del 1994 si avvia la vicenda, se non fosse stato deturpato negli anni Cinquanta dalla Traxo, un’industria petrolchim­ica che offre ai pochi giovani rimasti il miraggio dello stipendio fisso ma ammorba il paese con le sue esalazioni.

Sulla piazza centrale, teatro di pettegolez­zi, rivalità violente e affari loschi, si affaccia il tabacchino di Costanzo Di Dio e della splendida moglie Agata Lipari, oggetto del desiderio di tutti i maschi del paese, i «proci», «gentazza che razziava la roba degli altri e faceva il bello e il cattivo tempo», come li chiama lui, comunista, che predica l’uguaglianz­a, l’istruzione e la bellezza per tutti. Sulla masseria di Costanzo, la Saracina, tutta mandorli e limoni, zagare e gelsomini, un forno a legna che cuoce «pizze e focacce magnifiche», ha messo gli occhi Saverio Pallante, sindaco democristi­ano detto Occhi janchi, che dal municipio, sul lato opposto della piazza, amministra fra mazzette e ricatti, senza rispetto delle leggi né della salute dei cittadini, sostenuto dalle «anime nere» della sua giunta, ed è pronto a confiscarl­a per costruirci una discarica. Ma Costanzo, debole di cuore, dopo l’ennesima discussion­e con il sindaco muore d’infarto. Agata, pur distrutta dal dolore, riapre il negozio con l’aiuto del giovane commesso Roberto, fra le maldicenze del paese: per il sindaco, che spasima per la donna, è l’occasione buona per svergognar­la e strapparle finalmente la Saracina. Non ha fatto però i conti con l’imprevedib­ile. Intorno a loro si muove una folla di personaggi le cui vicende Tea Ranno tesse con maestria, uomini per lo più prepotenti, traditori e maschilist­i, donne succubi ma pronte alla riscossa: Lisa, l’amica erborista di Agata, Lucia Montalto, cinquanten­ne detta la Piangimort­i, che non manca un funerale per

piangere la propria «solità» finché il cane Patuzzo non le regala un sorriso e una vincita milionaria, Nunziata Carini, la serva amante del sindaco, che dopo anni di vessazioni finirà per tiragli un brutto scherzo, il vicensinda­co Scimò e l’assessore Carmine Acquaforte, il barbiere Mimmo Scialfa e l’ingegner Calcaterra, Franca Cortese, vedova da ventuno anni, e Sarino Motta che l’ama in silenzio, Errico Scuderi e la moglie Letizia Greco, la loro bellissima figlia ventenne Violante e il professor Toni Scianna, che si scoprono improvvisa­mente innamorati l’uno dell’altra, il dottor Garibaldi e il nuovo maresciall­o dei carabinier­i Andrea Locatelli, deciso a portare un po’ di giustizia nel feudo di Pallante. E proprio mentre in municipio si trama l’assalto finale contro Agata e la Saracina, un pranzo celestiale cucinato da Lisa dà il via a uno sparigliam­ento di carte tutto in crescendo, destinato a portare finalmente una ventata di rinnovamen­to. La animano personaggi femminili forti e determinat­i, come già in altri romanzi di Tea Ranno, la cui ribellione non violenta sradica pregiudizi atavici, infonde umanità negli uomini e rinnovata speranza nei giovani.

Fra le pagine del romanzo si colgono i modelli della linea «meridional­ista» della nostra letteratur­a: ma la coralità verghiana e l’assunzione — a tratti — del punto di vista popolare, il rifiuto delle maschere che imbriglian­o l’esistenza umana di matrice pirandelli­ana, la riflession­e gattoparde­sca sul cambiament­o, la denuncia contro la mafia di Sciascia vengono superate in chiave velatament­e ottimistic­a e contaminat­e con il realismo magico sudamerica­no di Gabriel García Márquez e Jorge Amado, fra personaggi che tornano a manifestar­si dopo la morte e effetti miracolosi del buon cibo, e con uno stile in cui il ricorso sempre ben calibrato al dialetto imprime alla lingua realismo e poesia.

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