Corriere della Sera - La Lettura
La pianura padana fa molta paura Poi arriva un eroe
La seconda puntata della trilogia fantastica di Alessandro Bertante nei dintorni di Milano
Vent’anni di pace, vent’anni senza uccidere e senza essere uccisi. Dopo la Sciagura che «ha cambiato ogni prospettiva e vanificato ogni speranza», dopo le macchie comparse da un giorno all’altro a coprire la luce del sole facendo impazzire molti, il vecchio borgo di Piedimulo è fiorito diventando un luogo di culto e di commercio, un riparo sicuro. Da lì, verso la Grande Pianura, parte Alessio, giovane uomo capace di parlare alle bestie, di conoscere le erbe, di evocare le parole dei poeti. Da lì (ri)parte Alessandro Bertante rievocando l’universo fantastico e utopico creato per Nina dei lupi (Marsilio 2011). Con l’autobio
grafico Gli ultimi ragazzi del secolo (Giunti 2016), ambientato nel luglio del 1996, lo scrittore aveva interrotto la continuità tra i primi due titoli della prevista Trilogia del mondo nuovo, quasi a segnare il bisogno di non perdere il contatto con la contemporaneità. Ora, con
Pietra nera, riprende le tracce mitologiche di una Milano antica intorno al lago Gerundo, nel Lodigiano, presidiato, secondo la leggenda, dal drago Tarantasio diventato nel Medioevo il simbolo di Milano.
È una pianura padana contemporanea ma in qualche modo tornata al Medioevo quella di Bertante: il vecchio mondo è crollato dopo una grande crisi economica e l’epidemia che ne è seguita; la natura si è ripresa i suoi spazi, la terra è ricoperta di foreste e paludi di acqua putrida, abitata da topi, cinghiali, predoni; il paesaggio è punteggiato da carcasse di automobili mezzo sprofondate nel fango e ricoperte di alghe e rampicanti.
Milano (la Grande Città) è devastata, «la cosa che manca ovunque sono gli esseri umani» e soltanto al Castello Sforzesco resiste una comunità che prova a ricominciare da capo. La guida il capitano Sergio Altieri (omaggio che Bertante fa allo scrittore Alan D. Altieri, autore di numerosi libri di fantascienza e romanzi storici, scomparso nel 2017), un positivista nato nel Novecento, che crede nella collaborazione tra le comunità. È lui che fornisce ad Alessio un’antica mappa della pianura che gli consente di arrivare, a dorso del mulo Ombra e con la compagna Zara, al paesino di Pietra nera e portare a termine la sua misteriosa missione. Ci sono predoni e trafficanti
di uomini, città in fiamme e donne pronte a lottare. Con Alessio (figlio di Nina e del Fondatore, l’uomo che viveva con i lupi, che, nel primo volume della saga, si è sacrificato perché lui potesse nascere), Bertante costruisce la figura di un eroe classico, dotato di forza e determinazione, immerso in una natura selvaggia.
Cormac McCarthy e Jack London sono i numi tutelari di questo libro che ha il passo del romanzo di avventura più che della distopia. Ci sono grandi scene e immagini capaci di riempire la pagina, come il ricordo dei morti per l’epidemia, i «sudati»: donne, uomini, bambini ammassati ancora vivi sul fiume seccato, «legati l’uno all’altro in una fila di carne lunga chilometri, mentre pativano dolori atroci e impazzivano nelle visioni della malattia». O come l’Armata a cavallo, composta da migliaia di guerrieri selvaggi e crudeli che infestano la pianura saccheggiando e distruggendo ogni cosa sul loro cammino. Un’immagine che rievoca il terzo movimento di La magni
fica orda, romanzo breve che Bertante ha pubblicato per Il Saggiatore nel 2012, dove il Castello Sforzesco e il nome del protagonista, Alessio, costituiscono un ulteriore elemento di congiunzione.
La narrazione di Pietra nera procede a ritmo sostenuto, in un susseguirsi di azioni, incontri, pericoli e pochi effetti speciali, che lasciano anche momenti di pausa da cui emergono pensieri, contemplazioni, riflessioni sul futuro, ricordi, «i ricordi perduti durante il lungo inverno bianco di solitudine, impronunciabili per chiunque». La scrittura, scorrevole e curata, accompagna con trasparenza il viaggio di Alessio il cui scopo si definisce un passo alla volta. C’è una vendetta da compiere, anche se l’eroe lo scoprirà soltanto alla fine perché «l’azione non corrisponde mai alla verità, la verità sta da un’altra parte ed è inascoltabile».