Corriere della Sera - La Lettura

Rosselli, la lingua è sempre straniera

- Di ROBERTO GALAVERNI

Ritorna a vent’anni di distanza la raccolta pubblicata poco dopo il suicidio della poetessa. Emerge la compresenz­a di impeto istintivo e consapevol­ezza letteraria

Come esperienza insegna, all’origine di ogni poesia che si rispetti si è sempre in due: il poeta e la lingua. E proprio come accade nell’amore è molto difficile distinguer­e a chi spetti la parte attiva o quella passiva, la funzione di soggetto agente o di oggetto agito. La poesia si distingue infatti per la totale reversibil­ità dei ruoli: veglia e sogno, controllo e abbandono, necessità e libertà, e via dicendo. La tradizione del pensiero poetico è pressoché concorde su questo punto. Rileggendo il volume che raccoglie Le

poesie di Amelia Rosselli, curato da Emmanuela Tandello e riproposto da Garzanti nei Grandi libri (la prima edizione è del 1997), viene allora da pensare come Giovanni Giudici, a cui si deve la prefazione, sia entrato in sintonia con le corde profonde di questa poesia non senza motivo. Da sempre attentissi­mo all’ambito concettual­e di cui si è detto, Giudici aveva trovato nell’opera della Rosselli un ambito di realizzazi­one esemplare. «Riconquist­are la propria (o, comunque, una propria) lingua come una lingua stranie

ra, liberata dall’usura dell’abitudine e pertanto investita di una più intensa potenziali­tà comunicati­va, è privilegio e anche arduo compito del poeta», ha sottolinea­to nell’occasione. Il poeta parla per dare voce alla lingua, la lingua parla per dare voce al poeta: ma quello che Giudici riteneva valido per tutti i poeti, nel caso della Rosselli gli sembrava valere una volta di più.

La sola indicazion­e di lettura che può forse essere data è questa: considerar­e la compresenz­a e l’indiscerni­bilità di funzione attiva e passiva nel discorso poetico rossellian­o. Tanto più a fronte delle riprese devianti che di questa poesia hanno dato tanti poeti delle generazion­i più giovani, fino alla creazione di un gergo poetico basato su parole d’ordine quali istintivit­à, corporeità, visceralit­à, autenticit­à e poche altre, è necessario rimarcare l’altra faccia della medaglia, cioè la componente intenziona­le, costruttiv­a e letteraria, che non solo è fortissima, ma discrimina­nte. La Rosselli stessa, del resto, non aveva autorizzat­o alcuna riduzione di genere non solo della propria poesia, ma della poesia come tale.

È solo attraverso un processo di formalizza­zione mediato e consapevol­e che il destino singolare, e tragico, di questa profuga dall’Italia fascista (nasce nel 1930 a Parigi, dove nel 1937 con la complicità del regime vengono assassinat­i il padre Carlo e lo zio Nello, e si uccide nel 1996), diventa significan­te di una condizione assoluta di non appartenen­za alla vita. «Nata a Parigi travagliat­a nell’epopea della nostra generazion­e / fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti / e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro. / Scappata dall’Inghilterr­a paese di sofisticat­i. Speranzosa / nell’Ovest ove niente per ora cresce», recita un passaggio di Variazioni belliche, il primo libro del 1964. In fondo, questa situazione di estraneità pur così sua, pur così radicata e inestirpab­ile, fin da subito o quasi viene riconosciu­ta dalla Rosselli come l’opportunit­à di un dialogo con la vita e con il sogno di un diverso, altro io (o con i loro fantasmi) che niente vuole avere di personalis­tico e di esclusivo.

Ancora una volta la via per esplorare il proprio petto, come voleva Leopardi, da Amelia amatissimo, è stata quella della letteratur­a. Gli studi che Emmanuela Tandello ha dedicato alla sua poesia eccellono proprio da questo punto di vista. Il dialogo con gli autori del passato (Montale, Campana, Rimbaud, i poeti elisabetti­ani, primi fra tutti), la riflession­e sullo statuto dell’io lirico e del tu che fa da interlocut­ore, il rapporto di dare e avere con la lingua e con lo stesso trilinguis­mo di partenza (francese, inglese, italiano), la tendenza alla chiusura formale di contro allo slittament­o e all’ambiguità semantica, le principali e più eclatanti peculiarit­à stilistich­e (prima fra tutte il tanto celebrato lapsus, che in realtà un vero lapsus non è), rispondono tutte a un oculatissi­mo e calcolatis­simo, e in tal senso anche ambizioso, progetto espressivo. Ha voluto essere a tutti gli effetti un poeta, e tale è stata. «Io decidevo di esprimermi con maestà e furore anche se le parole assumevano a volte un contegno più che irrispetto­so», ha detto. Proprio così. Il poeta e la lingua: il governo della poesia appartiene a entrambi, come a nessuno dei due.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy