Corriere della Sera - La Lettura

La vendetta diventa alta macelleria

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Faye ha un passato triste (padre violento, madre sottomessa, fratello suicida), ma ora è ricca e si bea di made in Italy (marmo bianco di Carrara in cucina, bottiglie di amarone in cantina, abiti di Armani, Gucci, Dolce & Gabbana in guardaroba). Il marito Jack è un abile uomo d’affari (veste Hugo Boss, si profuma di Armani Code). Hanno una figlia, Julienne (veste Stella McCartney collezione bimbi). Ma non sono felici. Faye è ingrassata. Quando fa la prova costume quello che vede allo specchio provoca raccapricc­io: «Il seno era cadente, due tulipani appassiti in un vaso... La pancia non era più piatta da un pezzo e le gambe sembravano una massa bianca e molliccia. Se contraeva i glutei, nella pelle si formavano dei buchi. Pareva la superficie lunare». Jack impazzisce per le donne giovani e snelle e sui siti porno cerca video tipo «Skinny teen brutally hammered». Faye prova a vestirsi da studentess­a e mettersi rossetto rosa chewing gum per farsi hammered dal marito. Tutto inutile, Jack la tradisce, preferisce martellare una segretaria giovane e snella. Faye, che è stata una moglie dolce e innamorata, contrattac­ca: chirurgia plastica, yoga, amanti più giovani e atletici esibiti come trofei. Per fare dispetto a lui lancia il profumo Revenge e diventa imprenditr­ice di successo. Poi elabora una vendetta diabolica per lavare nel sangue (e non per metafora) l’offesa subita. Camilla Läckberg, bestseller­ista milionaria svedese, è soprattutt­o un’accesa femminista. Ha scritto La gabbia dorata affinché le donne possano dire come Faye: «Unite siamo forti, non ci rassegnere­mo più al silenzio». La seconda parte del libro è un’opera di alta macelleria. Le pagine sembrano sputate da un tritacarne. Il tutto è poco credibile, ma l’autrice fa anche simpatia nella sua foga. Certo non ci andrei a cena. Sembra una di quelle donne descritte da Saul Bellow in Herzog (capolavoro dei capolavori), quelle che «mangiano insalata verde, e bevono sangue umano».

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Camilla Läckberg (Svezia, 1974)

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