Corriere della Sera - La Lettura
Parole solo da ascoltare Città per un solo individuo
Lara Favaretto e Ludovica Carbotta sono le uniche due italiane invitate al padiglione internazionale di Ralph Rugoff. «Metto in scena un tavolo di confronto, un tavolo segreto, un’opera di pensiero e dialogo», dice Favaretto. «Ci chiudiamo per paura, ma n
C’è una stanza segreta in cui avvengono conversazioni clandestine. Un luogo nascosto dal quale, però, filtrano parole che possono essere ascoltate da tutti. Thinking Head è un’opera fatta (anche) di pensiero e dialogo: è la creatura di Lara Favaretto. Una creatura in evoluzione, molto familiare all’autrice, dalle origini lontane. «L’idea è nata nel 2005, si chiamava Utopia. Avevo immaginato una mongolfiera in volo: a bordo due personaggi pubblici antitetici che, accompagnati da un moderatore, si sarebbero confrontati sulla Costituzione».
C’è, poi, una città surreale a metà fra il cantiere e la rovina moderna: è Monowe, la metropoli abitata da un singolo individuo, il «luogo del paradosso». L’ha costruita, la costruisce e la costruirà un pezzo alla volta Ludovica Carbotta, spingendo all’estremo la riflessione sullo stile di vita urbano, individualista nel tentativo di difesa («Ci chiudiamo per paura dell’altro») eppure non sempre e solo negativo («Nella solitudine a volte possiamo davvero essere noi stessi»).
Due artiste, due progetti, due strade
per riflettere. Lara Favaretto (nata a Treviso nel 1973) e Ludovica Carbotta (torinese, classe 1982) sono le italiane della Biennale d’Arte di Venezia, edizione numero 58. In Laguna arrivano con opere diversissime di cui raccontano pochi dettagli — la discrezione è d’obbligo, anche per contratto — ma che, ognuna a modo proprio, risultano perfettamente coerenti con il filo conduttore stabilito dal curatore della mostra, Ralph Rugoff: May You Live in Interesting Times, che tu viva in tempi interessanti.
Una nebbia insolita
Rugoff invita ad addentrarsi negli aspetti precari dell’esistenza, nelle contraddizioni, nella complessità dei tempi «interessanti» perché (nel male) minacciosi, ma pure (nel bene) complessi, stimolanti. «Per la generazione di cui faccio parte — spiega Lara Favaretto — è un momento cruciale, quindi speciale. Mi sento fortunata a viverlo: lo stallo non è più contemplato, non c’è spazio per decisioni blande». È una fase in cui prendere posizione. Ecco quindi che alla Biennale, con Thinking Head, dà convegno a personalità di mondi e ambiti diversi affinché siedano a un tavolo e si confrontino. Un tavolo «segreto», perché il luogo del dibattito non sarà visibile, eppure fruibile nel senso dell’ascolto: i visitatori potranno seguire le conversazioni in diretta o, successivamente, online. Favaretto, con uno stratagemma visivo, si concentrerà anche sul cammino di chi si avvicina alla facciata del Padiglione centrale: «Ci sarà una nebbia insolita, il pubblico si troverà in una condizione di opacità. Questo spazio di incertezza vuole essere anche di buon auspicio: la nebbia potrebbe essere il risultato di un momento intenso, di dialogo e condivisione che avviene tra i Giardini e il Padiglione». Una volta superata la misteriosa cortina, il visitatore incontrerà una rappresentazione del cervello umano a cui sono collegate 50 parole che diverranno temi dei clandestine talks. Non solo. «Ogni singola parola selezionata è connessa a cinquanta gruppi di oggetti accostati per affinità o contrasto».
Quella di Lara Favaretto è una ricerca costante, che le è valsa la ribalta internazionale. Convinta che non si possa più pensare all’opera d’arte come a qualcosa di eterno, con la serie Momentary Monuments si concentra sull’ossimoro: il monumento vive, cambia, sparisce. Come La Palude (The Swamp), presentata proprio a Venezia nel 2009 e destinata a svanire; come i sacchi di sabbia che nello stesso anno avevano circondato la statua di Dante a Trento per poi essere ributtati in cava; come i blocchi di pietra con foro per le monete eretti tra 2016 e 2017 a Liverpool, Münster e Marl (il denaro raccolto ha aiutato i rifugiati) poi distrutti e trasformati in ghiaia donata alle tre città per le pavimentazioni.
Metropoli a uso personale
Se Favaretto non è nuova alla Biennale, chi debutta è Ludovica Carbotta. Le sue creazioni saranno esposte all’Arsenale e alla Polveriera austriaca di Forte Marghera. «Sono emozionata, molto. Quando ho ricevuto la comunicazione da Ralph Rugoff — dice — ero incredula». Nata e cresciuta a Torino, dove nel 2007 ha partecipato alla fondazione del Collettivo artistico Diogene («Questa figura filosofica incarna l’autonomia di pensiero e l’attenta osservazione del mondo circostante, che per me sono obiettivi primari»), si è spesso dedicata all’esplorazione e all’analisi dello spazio urbano e delle modalità con cui gli individui vi si relazionano. Un’indagine molto fisica, già dai primissimi lavori: nel 2011, nel video Non definire la superficie, Carbotta ha letteralmente sfidato la propria ombra aggirandosi
per Torino e imponendosi di fondere il suo stesso profilo con quello proiettato da altri oggetti, palazzi o auto. Un anno prima, in corso Unità d’Italia, ha trascorso ore abbracciando un lampione. «Si fermavano i passanti. Operazione assurda? Era un gesto semplice, minimo, che però, come ho documentato in video, ha avuto effetti quasi destabilizzanti». Titolo provocatorio: Il viaggio è andato a me
raviglia. Embrioni di ricerca che si condensano in Monowe: l’artista dal 2016 è impegnata nella costruzione di una città abitata da un unico individuo. Le tecniche: installazioni architettoniche (progettate con il Collettivo Orizzontale), scultura, scrittura, performance. Un intreccio che approderà anche a Venezia, dopo essersi materializzato negli anni in luoghi diversi: la Porta della città ideale è comparsa al Parco del Cavaticcio di Bologna con una scala che si restringeva fino a poter ospitare una persona sola; il Tribunale, presentato alla mostra allestita fino al 6 ottobre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, sarà animato da dibattimenti in un aggrovigliarsi di ispirazioni al Processo di Franz Kafka e a
Falsificaciones di Marco Denevi. Alla Biennale si sveleranno due nuovi capitoli: «Il bisogno di controllo e di protezione segnerà il progetto all’Arsenale mentre a Forte Marghera sarà un luogo della mente, della psicologia, a diventare architettura».
Carbotta e Favaretto, due italiane su 79 artisti in mostra. Voci critiche l’hanno definita «una rappresentanza nazionale numericamente esigua». «Ma questa è una manifestazione internazionale — ribatte Carbotta —, è logico che il bacino sia internazionale. Per i singoli Paesi esistono i padiglioni». Favaretto va anche oltre, rigettando ogni catalogazione, che sia nazionale o di genere: «Quando penso alla figura dell’artista, visualizzo un androgino. Non è uomo, non è donna, non ha nazionalità, non ha categorie».