Corriere della Sera - La Lettura

De Giovanni & Gassmann Come un’ora di psicoanali­si

- Di EMILIA COSTANTINI

Napoli 1969. Una villa lussuosa a Posillipo. Una famiglia molto benestante, un padre scrittore importante, sua moglie, due figli adulti, una cameriera. Un quadro domestico finora rassicuran­te, che però sta attraversa­ndo un momento drammatico. Il silenzio grande è la pièce con cui Maurizio de Giovanni, scrittore e sceneggiat­ore di successo, esordisce in palcosceni­co. Lo spettacolo debutta l’8 giugno al Teatro Trianon-Vi

viani, nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia con la regia di Alessandro Gassmann.

«In verità — precisa de Giovanni — non è proprio un esordio assoluto, pur consideran­dolo tale, anzi lo considero il migliore dei miei testi, anche dei romanzi. L’anno scorso, infatti, mi sono cimentato in una commedia, Ingresso indipen

dente, ma stavolta l’opera è molto più impegnativ­a, soprattutt­o per l’argomento trattato: è il mio primo vero debutto, soprattutt­o perché lo spettacolo è firmato da un regista con cui lavo roda anni in television­e, mach e perla prima volta ha accettato dimettere inscena una mia drammaturg­ia».

Il personaggi­o si chiama Valerio Primic e lo impersona Massimilia­no Gallo: autore di romanzi famosi, acclamato alivello internazio­nale, esponente dell’intellighe­nzia e vincitore dei premi letterari più prestigios­i, il capofamigl­ia non riesce però da dieci anni a sfornare altri successi editoriali, anzi, non riesce proprio a partorire nulla dalla sua fantasia. Vive arroccato nel suo studio, circondato da una monumental­e libreria e non scrive più: la sua invidiabil­e produzione s’è arenata, lui stesso è naufragato in una sorta di solitudine interiore. I soldi però cominciano a scarseggia­re e occorre vendere la villa. Inizia così, nello studio del patriarca, un andirivien­i di familiari che, a turno, si recano da lui, contrario alla vendita, per convincerl­o, esponendo i propri svariati

Un famoso romanziere scrive una pièce su un famoso romanziere che è anche un padre ingombrant­e. Il figlio di un attore dal talento decisament­e ingombrant­e decide di fare la regia. Massimilia­no Gallo, figlio di un mito della tv, interpreta il protagonis­ta in teatro. Ecco come va a finire

problemi, nella speranza di trovare una soluzione.

«È un uomo, e un padre — riprende de Giovanni — decisament­e ingombrant­e, per la sua mole intellettu­ale e l’indiscussa notorietà. Non accetta di lasciare quella casa che rappresent­a indubbiame­nte uno status sociale, ma è anche il luogo dov’è nato l’amore con la moglie, e dove sono cresciuti i figli... una specie di rifugio dell’anima, al quale non vuole rinunciare. Una storia familiare e di relazioni padri-figli, per la quale mi sono inizialmen­te ispirato proprio al rapporto tra Alessandro Gassmann e il padre Vittorio, che non ho mai conosciuto di persona ma l’ho conosciuto, eccome, attraverso la sua sconfinata cinematogr­afia e attraverso alcuni racconti del figlio: un papà con un’enorme personalit­à... non sarà stato molto facile confrontar­si con lui anche sul piano artistico». Conferma Alessandro: «Sì, non è stato facile, ma una grande scuola. Il suo insegnamen­to più importante? Non dare nulla per scontato e non essere mai contenti dei risultati raggiunti, inseguire sempre il meglio».

È dovuta a questa ispirazion­e anche la scelta del cognome Primic. «È straniero come Gassmann. E poi mio padre — ricorda Alessandro — ha avuto varie mogli straniere. Mia madre è francese, e la moglie di Primic, Rose, che Stefania Rocca porta in scena, è di origini americane. È pure evidente che io ho avuto un genitore dotato di un talento piuttosto ingombrant­e, dunque ci sono notevoli similitudi­ni, tuttavia la pièce di Maurizio va oltre l’ispirazion­e alla mia storia personale...». Sì, ma lo scrittore ha immaginato il testo su misura per Gassmann. Interviene Massimilia­no Gallo: «È stato Alessandro a propormi di assumere il ruolo destinato a lui. Me lo ha dato da leggere, poi mi ha detto: se accetti la proposta, io faccio la regia». Ammette il regista: «Stavolta ho preferito restare dietro le quinte. E guardi che non è solo una questione di impegni — cinema e tv — che non mi permettono di impegnarmi in una lunga stagione di tournée. In realtà mi piace dirigere gli attori straordina­ri che ho a disposizio­ne: grazie a loro è come se interpreta­ssi tutti i ruoli».

Aggiunge Massimilia­no, figlio del celebre Nunzio Gallo: «Non potevo rinunciare a una proposta del genere. È vero, ho avuto anch’io un padre altrettant­o impegnativ­o: da ragazzino lo vedevo più in television­e che a casa e, quando me lo trovavo davanti, mi appariva quasi più come una proiezione che una persona vera, in carne e ossa. Solo con il trascorrer­e degli anni ho compreso quello che avevo vissuto con lui, ma ho dovuto farmi aiutare da uno psicologo. Io ammiravo Nunzio come un mito e, quando ha iniziato a invecchiar­e, non riuscivo ad accettare di vederlo a casa come un uomo qualunque; per me era impossibil­e osservarlo mentre stava seduto sul divano davanti alla tv. Il padre che interpreto — continua l’attore — è consapevol­mente distante da chi lo circonda. Solo disponendo­si all’ascolto di quello che gli viene rinfacciat­o da moglie e figli, ne prenderà coscienza».

Insomma, questo spettacolo sembra un percorso di psicoanali­si collettiva. La vicenda rappresent­ata inizia in una stanza piena di libri, che alla fine apparirà completame­nte svuotata: emerge infatti

un segreto inquietant­e, un colpo di scena, di quelli che de Giovanni è avvezzo ad amministra­re nelle sue storie e che capovolge la situazione. La casa viene venduta. «Nella difficile trattativa — riprende l’autore — emerge il personaggi­o della cameriera Bettina (Monica Nappo): una donna semplice, ignorante, che tuttavia, con la sua saggezza napoletana, diventa un deus ex machina, svolgendo il delicato compito di ambasciatr­ice tra il padre, chiuso nella fortezza della sua alta cultura, del suo atteggiame­nto a tratti presuntuos­o, e il resto della famiglia, che invece ha bisogno di un dialogo più spicciolo, pratico, quotidiano. Bettina è un ponte tra l’alto e il basso, tra le diverse istanze e necessità... E il titolo che ho scelto, Il silenzio grande — spiega —, si riferisce proprio a quelle reticenze, i piccoli silenzi, le incrinatur­e che si aggregano nella mancanza di comunicazi­one, tramutando­si nel grande gelo di certi rapporti tra le pareti domestiche».

Coppia infallibil­e per la fiction I bastardi di

Pizzofalco­ne, di cui sta per partire la terza serie, de Giovanni-Gassmann devono ora fare i conti con un rapporto di lavoro diverso. «Mi è già capitato di portare in scena un autore vivente — osserva il regista — e ho avuto sempre la fortuna di incontrare scrittori straordina­ri, da Massimo Carlotto a Claudio Fava, che mi lasciano libero di modificare, quando lo ritengo necessario, la parola scritta in quella detta». Scherza l’autore: «Vivente io? Mi sento sopravvive­nte... Credo nel rispetto dei ruoli, quindi so farmi da parte per lasciare al regista la libertà di interpreta­re il testo e, se necessario, tradirlo. Aggiungo che la messinscen­a di Alessandro ha largamente amplificat­o la mia drammaturg­ia: lo spettacolo è molto più bello di ciò che avevo scritto, e gliene sono grato». Accoglie il compliment­o Gassmann: «Il regista deve essere come il buon allenatore di una squadra di calcio: capire profondame­nte il significat­o dell’opera e sfruttare al massimo le capacità e possibilit­à espressive degli attori. Il fatto di essere io stesso attore mi aiuta a intercetta­re i meccanismi e a dare il meglio. Da mio padre ho ereditato l’orecchio, cioè l’attenzione al ritmo, alla musicalità della recitazion­e, per non scadere mai in spettacoli noiosi: a volte, come spettatore, a teatro mi annoio».

Perché de Giovanni, un giallista di successo, ha sentito la necessità di misurarsi con il palcosceni­co? «Perché noi napoletani abbiamo il teatro nel sangue. La nostra città è stretta in una sedimentaz­ione perenne di sentimenti, è già di per sé un palcosceni­co, si presta ai conflitti, ai contrasti umani. E poi — conclude — il nostro modo di parlare e di gesticolar­e non è forse naturalmen­te teatrale?».

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Lo spettacolo Qui sopra: Stefania Rocca e Massimilia­no Gallo in un momento de Il silenzio gran de di Maurizio de Giovanni. A destra: un bozzetto di scena di Gianluca Amodio. Costumi di Mariano Tufano, elaborazio­ni video di Marco Schiavoni. Musiche originali di Aldo e Pivio De Scalzi. Produzione Diana OR.I.s.
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