Corriere della Sera - La Lettura
La Bibbia è prosa e il Corano poesia Ecco perché l’islam è così complicato
L’intervista Già attivista socialista, Adrien Candiard, domenicano francese, vive al Cairo
Veloce nel rispondere, come un politico. Chiaro nelle spiegazioni, come un docente. Denso, come un teologo. S e mplice e s e r i o quando par l a di islam, di cui «noi europei non sappiamo nulla». Adrien Candiard, francese, frate dominicano, formazione all’École normale supérieure e Sciences Po a Parigi, un passato nell’équipe della campagna di Dominique Strauss-Kahn alle primarie socialiste del 2006, è tutto questo. Uno studioso (dell’Institut dominicain d’études orientales al Cairo, dove vive dal 2012), un comunicatore, un cristiano che cerca il dialogo interreligioso. Lo fa con Comprendere l’islam. O meglio, perché non ci capiamo niente (Emi): 128 pagine che ci dicono molto. Sul mondo musulmano, sull’Occidente. Perché non ci capiamo niente?
«Perché non ci sforziamo di comprenderlo, perché siamo pigri, perché vogliamo farne a tutti i costi un concetto facile, quando invece l’islam è una realtà complessa, con 14 secoli di storia e un miliardo di credenti. Fare del’islam arabo il solo islam, per esempio, significa di
menticare che il primo Paese musulmano per numero di abitanti è l’Indonesia o che i musulmani indiani sono più numerosi di tutti gli abitanti del Medio Oriente arabo». Dobbiamo aver paura dell’islam?
«Si può avere paura di certi fenomeni legati
all’islam, i motivi ci sono. Ma non si deve temere l’islam come teologia. Il mio libro vuole dire questo: l’islam non è una cosa semplice». Come superare certi pregiudizi?
«Accettando il fatto che non esiste un unico vero islam. Ma che ci sono vari modi per viverlo, tanto che gli studiosi oggi non parlano dell’islam, ma di vari islam. Non ha senso “essenzializzare” questa religione. Dobbiamo invece accettarne l’irriducibile diversità. Lo so, conosco già la controreplica: un islam oggettivo esiste ed è quello del Corano».
Non è così?
«Il Corano è un testo pressoché incomprensibile. Ma lo si può studiare. E capire che non si può fargli dire tutto, che non basta aprirlo in un punto per avere un’idea precisa dell’islam. Il Corano non vuole spiegare il mondo, ma rendere Dio presente. È la parola di Dio». Come si può accettare che questa parola sia ambigua?
«Ogni parola va al di là del suo significato. Mentre i cristiani leggono la Bibbia come prosa, i musulmani leggono il Corano come poesia. Stasera, domenica 5, comincia il ramadan, da domani vedrò nel metrò del Cairo centinaia di persone che leggono il Corano. Non cercano precetti, il loro è un atto di preghiera, qualcosa di simile alla nostra adorazione del Santissimo Sacramento». Il Corano è violento?
«Nel Corano c’è di tutto, non si può pretendere di sfogliarlo e capire. Poi è chiaro che nelle fonti islamiche, soprattutto nei testi profetici, c’è una certa disponibilità alla violenza, ma questo non vuole dire che l’islam sia violento». In Europa la percezione è diversa.
«L’Europa soffre di sindrome da accerchiamento. La cosa strana è che in Egitto riconosco un sentimento parallelo. Mi chiedono: chi ha
colonizzato chi? Chi interviene militarmente? Chi ha una cultura predominante? Non dico che abbiano ragione loro ma la sfiducia è reciproca». L’Europa in crisi può superare questo momento?
«Anche l’islam è in crisi, lacerato da un doppio conflitto: l’opposizione tra sunniti e sciiti e, nel mondo sunnita, tra le autorità tradizionali e un movimento di riforma rigorista, il salafismo, che lotta per affermare la sua ortodossia. Da qui nascono terrorismo e divisioni. Noi occidentali abbiamo lo schema dei Lumi, secondo cui la tradizione è reazionaria e la modernità è aperta e razionale. No, non possiamo schematizzare». Come andrà a finire?
«La profezia è un’arte difficile. Il salafismo ora è molto dinamico ma allo stesso tempo richiede ai fedeli di essere musulmani al cento per cento, in ogni momento. In prospettiva questo può allontanare dalla religione. In Egitto, ed è un fenomeno recente, vedo persone che si dicono atee pur credendo in Dio: non ne possono più di una vita regolata solo da precetti religiosi». Salafismo e terrorismo sono sinonimi?
«Non tutti i salafiti sono terroristi, anzi, per lo più sono pacifici. Ma la maggior parte dei jihadisti proviene da una matrice salafita. Sono sem
pre gruppi nati dal salafismo a prendere le armi: in Egitto contro Sadat, in Algeria negli anni della guerra civile, contro l’Occidente con al Qaeda poi con lo Stato islamico e con il jihadismo». L’islam è compatibile con la democrazia?
«Nel 1945 si diceva dei tedeschi: non potranno vivere in una democrazia. Detto questo, che nei Paesi musulmani ci siano difficoltà nell’instaurare forme democratiche è vero, in particolare per quanto riguarda lo statuto della legge che è divina e quindi, in teoria, non modificabile. Ma se i musulmani vogliono la democrazia la avranno, non è impossibile. Tocca a loro». Come è nato questo libro?
«Da una conferenza tenuta a Parigi nel 2015 sei giorni dopo l’attacco al Bataclan. Rimasi a parlare con il pubblico per ore. Dopo una settimana quell’incontro era stato condiviso 2.500 volte su Facebook. Mi fu proposto allora di farne un libro nel quale ho voluto mantenere lo stile orale di quella conversazione. Anche perché tutto ciò che dico nei libri “lunghi” già esiste. Ma nessuno li legge». Le manca mai la sua vecchia vita?
«Non mi rammarico di niente e non disprezzo la politica. Anche se ho l’impressione di lavorare per cose abbastanza importanti anche adesso».