Corriere della Sera - La Lettura
Qui a Rozzangeles il protagonista sono io
Jonathan Bazzi non è un nome d’arte e nemmeno un nome di finzione. È il nome dell’autore che compare sulla copertina verde acqua di Febbre, illustrata come una carta dei tarocchi da un magnetico disegno di Elisa Seitzinger: due occhi tranquilli, intelligenti, rivolti a te che guardi per catturare il tuo sguardo e offerti al lettore come un fiore stillante una rugiada di sangue. Ed è il nome del protagonista del romanzo, scritto in prima persona con una sincerità spassionata, spietata e con una seducente passione affabulatoria.
Jonathan dunque è lo scrittore. A poco più di trent’anni ha reso sé stesso tale con questo esordio coraggioso e potente. E Jonathan è il personaggio. Si è trasformato scrivendo nell’eroe di una storia di riscatto e di rivalsa, di un’avventura di esplorazione e conoscenza, di una fiaba credibile, volendo, una favola dedicata — avvisa il frontespizio — «ai bambini invisibili» che, troppo smaliziati per farsi illudere su un lieto fine, sono abbastanza avvertiti da cogliere, dove c’è, l’incantesimo.
Febbre è, senza metafore, la storia di una malattia raccontata dall’insorgere dei suoi primi sintomi, comparsi con un lieve ma insistente innalzamento della temperatura tre anni fa — e questa è cronaca, i parametri temporali sono riferiti al calendario reale — fino alla… guarigione? regressione? consapevole accettazione del malato che col virus si dispone a convivere.
Al di là dei referti clinici e della diagnosi però, una volta che l’Hiv è conclamato, «tutto diventa allegorico», scrive Bazzi: «Una faccenda da predestinati». E questa è leggenda, la leggenda personale dell’autore che, sull’onda del potere catalizzante della patologia, trova la forza di comporsi, di ridisegnarsi in un ordine che solo il senno di poi, e il presentimento del temuto finale — la morte — imprimono al suo svolgimento. Malattia e destino, un tema classico in letteratura.
Ma il destino non è la malattia. Il destino è quello del bambino di periferia nato sotto il segno dei gemelli da una mamma neanche ventenne e cresciuto più che altro a casa dei nonni sotto l’ombra opprimente della torre della Telecom di Rozzano: di notte le sue luci sembrano un Ufo, Unidentified Flying Object, una potenza soverchiante, ignota e invasiva come la Fuo, Fever of Unknown Origin che lo affligge da un brutto giorno di gennaio.
Il destino è quello dell’adulto che febbricitante, preda all’inizio di un languore