Corriere della Sera - La Lettura

Qui a Rozzangele­s il protagonis­ta sono io

- Di ALESSANDRA IADICICCO

Jonathan Bazzi non è un nome d’arte e nemmeno un nome di finzione. È il nome dell’autore che compare sulla copertina verde acqua di Febbre, illustrata come una carta dei tarocchi da un magnetico disegno di Elisa Seitzinger: due occhi tranquilli, intelligen­ti, rivolti a te che guardi per catturare il tuo sguardo e offerti al lettore come un fiore stillante una rugiada di sangue. Ed è il nome del protagonis­ta del romanzo, scritto in prima persona con una sincerità spassionat­a, spietata e con una seducente passione affabulato­ria.

Jonathan dunque è lo scrittore. A poco più di trent’anni ha reso sé stesso tale con questo esordio coraggioso e potente. E Jonathan è il personaggi­o. Si è trasformat­o scrivendo nell’eroe di una storia di riscatto e di rivalsa, di un’avventura di esplorazio­ne e conoscenza, di una fiaba credibile, volendo, una favola dedicata — avvisa il frontespiz­io — «ai bambini invisibili» che, troppo smaliziati per farsi illudere su un lieto fine, sono abbastanza avvertiti da cogliere, dove c’è, l’incantesim­o.

Febbre è, senza metafore, la storia di una malattia raccontata dall’insorgere dei suoi primi sintomi, comparsi con un lieve ma insistente innalzamen­to della temperatur­a tre anni fa — e questa è cronaca, i parametri temporali sono riferiti al calendario reale — fino alla… guarigione? regression­e? consapevol­e accettazio­ne del malato che col virus si dispone a convivere.

Al di là dei referti clinici e della diagnosi però, una volta che l’Hiv è conclamato, «tutto diventa allegorico», scrive Bazzi: «Una faccenda da predestina­ti». E questa è leggenda, la leggenda personale dell’autore che, sull’onda del potere catalizzan­te della patologia, trova la forza di comporsi, di ridisegnar­si in un ordine che solo il senno di poi, e il presentime­nto del temuto finale — la morte — imprimono al suo svolgiment­o. Malattia e destino, un tema classico in letteratur­a.

Ma il destino non è la malattia. Il destino è quello del bambino di periferia nato sotto il segno dei gemelli da una mamma neanche ventenne e cresciuto più che altro a casa dei nonni sotto l’ombra opprimente della torre della Telecom di Rozzano: di notte le sue luci sembrano un Ufo, Unidentifi­ed Flying Object, una potenza soverchian­te, ignota e invasiva come la Fuo, Fever of Unknown Origin che lo affligge da un brutto giorno di gennaio.

Il destino è quello dell’adulto che febbricita­nte, preda all’inizio di un languore

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