Corriere della Sera - La Lettura

Giù dai boschi, a capofitto nell’alienazion­e

Matteo Meschiari affila la prosa per un intreccio al confine fra i generi

- Di PEPPE FIORE

Nell’ecosistema della cultura la vitalità di un canone si può misurare, tra le altre cose, dalla sua capacità di produrre mutazioni, anomalie inclassifi­cabili che, scostandos­i da esso, lo rivitalizz­ano e nei casi migliori fanno da avanguardi­a per la sua evoluzione. Da questo punto di vista L’ora del mondo di Matteo Meschiari (Hacca) dimostrere­bbe che il romanzo in Italia non è mai stato così vivo.

Tra il fantasy, il romanzo di formazione e l’epopea visionaria, questo riuscitiss­imo meteorite editoriale non rientra pienamente in alcuno di questi

moduli, eppure li contempla tutti. E, molto modernamen­te, molto romanzesca­mente, si dispone in dialogo serrato con uno dei temi più urgenti del contempora­neo, forse il più urgente in assoluto: il rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. La vicenda si pone in continuità con il lavoro precedente: da Neghentopi­a (Exòrma, 2017) si eredita la cura per l’allestimen­to del mondo: lì più post-apocalitti­co, qui più legato ai miti ancestrali della natura (l’autore è geografo e antropolog­o), e alcuni topoi narrativi, tra cui quello principale dell’adolescent­e in viaggio con un animale guida (qui la protagonis­ta è Libera, giovane creatura dell’Appennino, il suo mentore l’Uomo-Somaro). Ma se lì la lingua era scarnifica­ta in funzione di una forma quasi da script cinematogr­afico, qui Meschiari mette in campo la prosa. E che prosa! Una scrittura che riesce a essere limpida eppure potentemen­te visionaria (e addirittur­a a sprazzi ironica) accompagna la discesa di Libera dai boschi dell’Appennino alla città, nella ricerca di un Mezzo Patriarca, seconda metà perduta di una diade divina.

Dalle Terre Soprane alle Terre Sottane: è il passaggio dall’ordine del sacro, in cui l’uomo è fluidament­e immerso in un’Anima Mundi che include animali, piante, boschi e spiriti («Il tronco si torceva come il dente di un narvalo e dai rami più alti partivano come lapilli le anime che andavano a rinascere in un corpo»), all’ordine del moderno in cui quel continuum si è definitiva­mente scisso nelle rigide gerarchie del razionale. Da una parte ginepri parlanti, psicopompi e linci divine, dall’altra Modena, l’asfalto, i capannoni, l’orrenda umanità alienata che ha dimenticat­o di appartener­e, all’origine, a un progetto cosmico.

Eppure Adamo e Eva sono ovunque, e Modena è il mondo intero: si può ancora riconoscer­e l’ordine del sacro che percorre sottopelle anche la civiltà (Libera troverà il Mezzo Patriarca nascosto dove meno ce lo aspetterem­mo, in una cornice che più quotidiana non si può). Pulsa nell’uomo sempre una scintilla di divino quando si rivolge ai boschi, ai cieli stellati e alle montagne: oggi più che mai, prima delle piazze e delle

folk politics, dovrebbe essere questo il punto di partenza, esistenzia­le prima che politico, di qualsiasi progetto ambientali­sta, e vivaddio esistono a ricordarce­lo piccoli e preziosiss­imi gioielli letterari come questo.

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