Corriere della Sera - La Lettura

Il populismo frusta il mercato

- Di FEDERICO FUBINI

Al tempo della guerra fredda la sfida dell’Urss obbligò l’Occidente a mitigare gli eccessi del capitalism­o. Allo stesso modo oggi — riprendend­o la lezione di Keynes e ascoltando le tesi di Raghuram Rajan, economista indiano — l’ira dei ceti impoveriti dalla crisi può aiutare a trovare una correzione

Il 30 dicembre 1933 John Maynard Keynes prese carta e penna e scrisse a colui che poco più di un anno prima era stato eletto presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt. «Caro signor presidente — iniziò Keynes, che all’epoca era già l’economista più letto del mondo, se non più apprezzato —. Lei si è fatto tutore di coloro che, in ogni Paese, cercano di guarire i mali della nostra condizione attraverso una sperimenta­zione razionale entro il quadro del sistema sociale esistente».

Mentre Keynes scriveva, il mondo era sprofondat­o nella Grande Depression­e da tre anni e nelle guerre commercial­i da due. L’America era ben avviata lungo la strada di un collasso completo di un

quinto di tutta l’attività economica. E nel 1933, che si stava chiudendo, c’era stata l’ascesa alla cancelleri­a tedesca, in modo piuttosto democratic­o, di un politico spregiudic­ato che a momenti era riuscito a dissimular­e il radicalism­o delle proprie idee, quindi, una volta al governo, aveva rapidament­e divorato i suoi primi alleati nazionalis­ti di coalizione (dell’avvento di Adolf Hitler al potere racconta ora in maniera granulare e illuminant­e Siegmund Ginzberg in Sindrome 1933, Feltrinell­i).

In quel momento della storia del Novecento, continuava Keynes, rivolto a Roosevelt: «Se lei dovesse fallire, in tutto il mondo sarà gravemente pregiudica­to il cambiament­o su basi razionali, e in campo resteranno a scontrarsi solo l’ortodossia e la rivoluzion­e. Ma se lei avrà successo, ovunque metodi nuovi e più coraggiosi verranno sperimenta­ti, e potremo considerar­e la data della sua elezione come il primo capitolo di una nuova era per l’economia».

Il testo è tratto dalla traduzione italiana della recentissi­ma (e splendida) edizione per i Meridiani Mondadori della Teoria generale e di vari altri scritti di Keynes curata da Giorgio La Malfa con la collaboraz­ione di Giovanni Farese. Quel che colpisce oggi è come le parole dell’economista di Cambridge di quasi novanta anni fa suonino vicine nel senso, e nello spirito, a quelle appena scritte da un altro economista che sarebbe insensato iscrivere nella discendenz­a intellettu­ale di Keynes: Raghuram Rajan, docente di Finanza all’Università di Chicago, ex capo-economista del Fondo monetario internazio­nale ed ex governator­e della Banca centrale indiana.

Rajan ha appena pubblicato Il terzo pilastro. La comunità dimenticat­a da Stato e mercati (Bocconi Editore) e in un recente articolo Project Syndicate ha riassunto l’essenziale delle preoccupaz­ioni alla base di questo suo ultimo libro con parole che sembrano riecheggia­re, forse inconsapev­olmente, il Keynes del 1933. Osserva l’economista indiano: «Se gli elettori nei villaggi francesi in pieno declino o nei

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy