Corriere della Sera - La Lettura

GALILEO FU CAUTO MA NON BASTÒ

- Di GIULIO GIORELLO

La Sacra Scrittura non può «mentire o errare»; però, «potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno dei suoi interpreti». Così Galileo Galilei a Benedetto Castelli nella lettera del 21 dicembre 1613. L’aristoteli­co Cosimo Boscaglia aveva dichiarato di non obiettare alle «novità celesti» rivelate da Galileo, a eccezione del fatto che «il moto della Terra haveva dell’incredibil­e», e «la Sacra Scrittura era manifestam­ente contraria». Castelli era stato interpella­to dalla granduches­sa Cristina di Lorena, che aveva menzionato l’invocazion­e che Giosuè aveva rivolto al Signore perché fermasse il Sole.

Galileo dichiarava la sua perplessit­à «circa ’l portar la Scrittura Sacra in dispute di conclusion­i naturali». Della Lettera erano state fatte più copie, alcune finite agli avversari di Galileo, ma l’originale sembrava perduto. Finché non è stato scoperto da tre storici italiani, Michele Camerota, Franco Giudice e Salvatore Ricciardo, alla Royal Society di Londra «L’esame dell’autografo», scrivono nel libro Galileo ritrovato (Morcellian­a, pp. 81, € 10), «capovolge i termini della ricostruzi­one fin qui dominante»: non furono gli avversari a «manipolare» la Lettera; fu lo stesso scienziato a emendare le frasi che lo avrebbero messo in difficoltà con gli inquisitor­i. Galileo aveva scritto che la Bibbia contiene «molte proposizio­ni false quanto al nudo senso delle parole», ma dopo il ripensamen­to tali proposizio­ni diventaron­o quelle che «hanno aspetto diverso dal vero». I lettori del Galileo ritrovato potranno apprezzare la spiegazion­e dell’episodio di Giosuè elaborata dallo scienziato, ma ancor di più la sua difesa della libertà di ricerca.

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