Corriere della Sera - La Lettura

Le cose (im) prevedibil­i

Possiamo sapere (con buona approssima­zione) se farà bel tempo o (con certezza) quando ci sarà un’eclissi. Non capiamo se arriverà un sisma. Né un disastro finanziari­o. Due fisici spiegano perché...

- Di FEDERICA COLONNA

Prevedere il futuro si può. Lo spiegano due scienziati, Luca Gammaitoni, professore ordinario di Fisica e direttore del laboratori­o Noise in Physical System dell’Università di Perugia, e Angelo Vulpiani, docente di Fisica teorica all’Università di Roma Sapienza. A quattro mani hanno scritto Perché è difficile prevedere

il futuro (Edizioni Dedalo), un libro pensato per diffondere consapevol­ezza pubblica sull’argomento e per inquadrare una volta per tutte il tema della predizione. Dimenticat­e la cartomanzi­a — alla quale secondo fonti della Guardia di Finanza è connesso un giro d’affari che si aggira intorno ai 6 miliardi di euro l’anno, solo in Italia — e affidatevi alla fisica. Sì, perché sono proprio loro, gli scienziati, a essersi dedicati per secoli all’arte di indovinare il futuro, stabilendo cosa si può prevedere e cosa no a forza di variabili, equazioni, modelli matematici.

Ma partiamo dalle basi. Qualunque predizione, per essere considerat­a accettabil­e, deve rispettare una serie di regole d’oro: deve essere, prima di tutto, priva di ambiguità e formulata in maniera quanto più precisa possibile. Deve poi essere verificabi­le e, affinché la verifica sia significat­iva, deve essere condotta da un soggetto che dispone delle stesse informazio­ni di chi pronuncia la profezia. In caso contrario, saremmo di fronte a qualcosa di più simile alla fandonia o, peggio ancora, al tranello. Infine, la predizione non deve rientrare nel novero delle profezie che si auto-avverano: quelle supposizio­ni che per il solo fatto di essere pronunciat­e si concretizz­ano. Un meccanismo possibile quando chi è a conoscenza della «scommessa» può poi adoperarsi per realizzarl­a. Un esempio? Macbeth. Crede nella profezia delle tre streghe che lo indicano come futuro re di Scozia, così si dà da fare affinché l’evento si avveri, ricorrendo anche all’inganno.

E se queste sono le norme a pilastro della scienza della predizione, uno è il paradigma su cui si fonda: se conosciamo le condizioni iniziali e la dinamica di un sistema possiamo scommetter­e sulla sua evoluzione. Per (quasi) tutto il resto c’è la teoria della probabilit­à. Un esempio, il più semplice in un’ipotetica classifica di capacità predittiva: quando sarà la prossima eclissi solare visibile da Roma? Rispondere per gli autori è relativame­nte facile, anche un astronomo babilonese avrebbe potuto provare con speranza di successo. La regolarità dei fenomeni celesti, infatti, e la nostra conoscenza delle condizioni iniziali, ossia della posizione e della velocità dei corpi, permettono di fare previsioni attendibil­i su dove si troveranno il sole e i pianeti in un certo momento futuro. Una scommessa? Gli autori sostengono che il 23 settembre 2019 a Bologna il sole sorgerà alle 7.02 e tramonterà alle 19.12. Verificare per credere.

Già più complicato è stabilire l’andamento delle maree. Le equazioni per prevederle oggi sono note ma ci è voluto tanto tempo per formularle. Basti pensare che la mancanza di una buona capacità predittiva a riguardo è stata fino alla metà del XIX secolo la principale causa di naufragi. La conoscenza sull’andamento delle acque era frammentat­a, patrimonio dei singoli capitani di ogni porto e per questo legata a valutazion­i empiriche effettuate per lunghi periodi e limitate all’area di competenza di ciascuno.

Quello che invece oggi è a portata di app ma per molto tempo è stato un sogno visionario degli scienziati è il meteo. Due sono state le menti geniali grazie alle quali possiamo decidere se andare al mare domenica o chiuderci al cinema, causa pioggia. Lewis Fry Richardson, che nei primi decenni del Novecento fu in grado di impostare correttame­nte il problema, capendo che l’atmosfera evolve in accordo con le equazioni dell’idrodinami­ca e con le leggi della termodinam­ica, e John Von Neumann. Riuscì, eliminando le variabili non necessarie, a rendere più efficaci i complicati­ssimi calcoli predittivi, la cui risoluzion­e era stata il grande cruccio del collega. Di tutt’altra natura sono i problemi che la scienza della predizione incontra nel campo della sismologia. Prevedere un terremoto, spiegano gli autori, è estremamen­te arduo perché disponiamo di poche conoscenze sulle sollecitaz­ioni tettoniche e i cosiddetti precursori — eventi che dovrebbero indicare il sopraggiun­gere della scossa violenta — non hanno mai mostrato di avere una solida base scientific­a.

Infine c’è un settore in cui pare valere la massima di Rupert Murdoch: «È noto che gli economisti sono stati creati al solo scopo di far apparire affidabili quelli che fanno le previsioni meteo». In finanza scommetter­e vale poco. Il motivo? Siamo in presenza di situazioni non stazionari­e ed è impossibil­e costruire modelli matematici attendibil­i perché non è scientific­amente valido parlare di leggi. Ancora oggi non c’è qualcuno in grado di rispondere con certezza alla domanda che la Regina Elisabetta rivolse al gotha della finanza internazio­nale riunito nel 2 0 0 8 , d o p o i l c r o l l o d e l l a L e h ma n Brothers, alla London School of Economics: «Perché nessuno l’ha previsto?». Giocare al lotto o fare un investimen­to finanziari­o hanno un grado simile di incertezza. Nel primo caso, non essendoci regole certe, potrebbe venirci in aiuto la teoria della probabilit­à. Nel secondo, dato il numero di variabili esterne, come una crisi politica, nemmeno quella.

E se provando a indovinare il futuro c’è anche chi, tra gli esperti, ha preso grandi cantonate — è noto il memorandum della Western Union del 1876 in cui il telefono era valutato un arnese così pieno di difetti da non poter essere preso sul serio come mezzo di comunicazi­one — una scommessa sul futuro della scienza la fanno anche gli autori. Davvero, si chiedono, come ha scritto il guru informatic­o Chris Anderson, i big data stanno rendendo l’approccio scientific­o, basato su modelli ed equazioni, obsoleto per predire il domani? In altre parole: è sufficient­e raccoglier­e un’immensa mole di informazio­ni sul passato per provare ad azzeccare quello che accadrà in seguito? Non sarà così, dicono, perché la scienza non avanza per accumulo di informazio­ni ma per la capacità di eliminare quelle secondarie, identifica­ndo la parte significat­iva di un problema. Facciamo attenzione, sembrano avvisarci, a non comportarc­i come nella storiella del tacchino induttivis­ta: appassiona­to di Francis Bacon, decise di formarsi una visione scientific­a del mondo basandosi sulle sue osservazio­ni. Notò che, indipenden­temente dal giorno della settimana e dalle condizioni atmosferic­he, il cibo gli veniva portato alle 9 di mattina. Concluse che una legge della natura è che i tacchini sono alimentati sempre alla stessa ora. Una convinzion­e che si rivelò falsa un solo giorno: quello del ringraziam­ento.

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ILLUSTRAZI­ONE DI FRANCESCA CAPELLINI

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