Corriere della Sera - La Lettura
Le province del passato, piene di cose
La nuova raccolta di Nanni Cagnone affronta la «vita a dirotto»
Ci sono poesie frondose e poesie severe, taglienti. Ha foglie lanceolate la svelta pianta poetica di Nanni Cagnone, che nella sua più recente prova ci mette davanti, fin dal titolo, le cose ( Le cose innegabili, che fa il paio con Il popolo delle cose, 1999). Non divagazioni o infiorescenze, non retorica (come si accenna in un testo) ma parolecose, distanti e insieme prossime. Perché c’è un movimento prospettico da e verso le cose, colte spesso nella loro stratificazione interiore e memoriale: «Nelle province impazienti/ del passato, sghembo s’adagia/ ove s’innalza l’erba, si tiene/ all’onfalo di primavera —/ ma gli fa difetto l’udito,/ non sa se, concordando,/ laggiù lo dicano figlio».
Le res del titolo e di alcuni componimenti non sono certe, ma quasi evocate,
con il di più di senso che postulano («le cose innegabili, esordio senza sigillo/ il cui adempimento richiede il tu,/ temerario ornamento dell’io»). Un margine d’ombra e di tempo le smangia; un confine, una soglia le rende più allusive, sussurranti. Sembrano emergere, esse, da altrove remoti, farsi enigmatiche pur nella loro resistenza o, appunto, innegabilità. Sono sempre sul punto di sfaldarsi, slabbrarsi, ridursi in polvere e frantumi («È tempo di destarsi/ per consistere/ nell’ardua interezza/ dei frammenti:/ è qui che si viene vinti —/ un vetro offuscato,/ un appuntamento/ con la polvere»). Il poeta raccoglie e filtra proprio tale residuo, ciò che rimane e insiste. La sua è un’arte di frammenti e di spore, implicita fino all’elusione eppure immersa nell’universo materiale.
Una sorta di carica ultimativa investe così il mondo e la sua durata (non a caso è citato Hölderlin). La «vita a dirotto» è nonostante tutto il tema, ma come in un moto corrosivo e disforico, di cui il poeta si serve non per lagnarsi, ma per fissare, sapere, tenere a mente: «(quando mai corrispondono/ le cose, non avendo/ la fiducia imperterrita/ dei sogni?) […]». La lingua è puntuta e densa, a tratti straniante, nei leggeri arcaismi, nelle ellissi, nella concentrazione, a ricordarci che questa poesia aspira a una parola estrema: forse sulla frontiera dell’intangibile?