Corriere della Sera - La Lettura
Mio marito di solito mi chiama coniglietto
Moglie di Joe
Mio marito è l’unico a pronunciare il mio nome. Quando è arrabbiato. Quando è arrabbiato mi chiama Harper. Non succede spesso, per fortuna. Il resto del tempo mi chiama coniglietto. È la forma del nostro amore: io lo amo come l’unica persona sulla Terra, lui mi ama come un animaletto selvatico costretto a vivere in una gabbia. Sono un coniglietto, per questo il cuore mi batte fortissimo quando mi accarezza. Sono un coniglietto con dei «problemi emotivi», dice lui, forse a causa delle mie origini.
Vengo da una famiglia di mormoni, anche io lo sono in un certo senso. Se guardo una loro fotografia non mi mancano. Vivono tutti a Salt Lake. Non li vedo da tanto tempo. Ho conosciuto Joe, mio marito, durante gli anni delle scuole. E ci siamo subito sposati; lui è mormone e per la mia famiglia era una sicurezza; anche per me lo era pur di allontanarmi da loro. Così la mia vita è passata da Salt Lake a Brooklyn, da una gabbia a
un’altra. Mio marito lavora tutto il giorno. La sera ci vediamo, ceniamo, preghiamo e andiamo a dormire. Non facciamo sesso. Ci amiamo come si amano due pagine dello stesso libro, l’una accanto all’altra.
Quando sono sola, da casa, intravedo il mondo che mi circonda, e ho paura. Il mondo sta andando a pezzi, e io sono un’inutile anima che precipita. A volte però vengono a trovarmi delle persone, delle anime, Joe questo non lo sa. Non sono sicura di conoscerle sul serio e non vengono sempre per aiutarmi.
Il diavolo può nascondersi dappertutto: dietro la tappezzeria della camera da letto, nello sportello del frigorifero quando è vuoto o negli occhi di mio marito quando torna a casa, la sera, dopo i suoi giri. Dove va dopo il lavoro? Dove vanno le anime quando sono libere? Forse ha ragione Joe, forse prendo troppe pastiglie. Le pastiglie fanno male al bambino, al bambino che avremo. O che avrò. Forse. L’incertezza mi uccide.