Corriere della Sera - La Lettura

I segreti del Quartetto ritrovato

Inediti Acquisita dalla Fondazione dopo una lunga trattativa una pagina sconosciut­a dell’opera giovanile «Demetrio e Polibio». Il prossimo anno uscirà l’edizione critica

- Di GIAN MARIO BENZING

«Donami omai Siveno, o le trafiggo il petto». È il momento cruciale. Polibio, re dei Parti, è pronto a svenare il genero Siveno, pur di non restituirl­o a Demetrio, re siriano; ma anche Demetrio è pronto a uccidere Lisinga, figlia di Polibio, pur di riavere Siveno. Quando, di colpo, riconosce, addosso al ragazzo, una speciale medagliett­a. Siveno è suo figlio, stop, tutti si abbraccian­o e il drammatico Quartetto ha lo stacco della più classica agnizione: «Figlio, qual gioia io provo, or che tu salvo sei...». Siamo nel Secondo Atto, Scena Seconda, di Demetrio e Polibio, la creazione giovanile di Rossini, forse la sua prima in assoluto, che il Rossini Opera Festival riporta in scena, dal 12 al 23 agosto, diretta da Paolo Arrivabeni, regia di Davide Livermore, con Jessica Pratt, Cecilia Molinari, Juan Francisco Gatell e Riccardo Fassi. Con una novità. A Pesaro, mentre si è appena inaugurato il Museo Nazionale Rossiniano di Palazzo Montani Antaldi, un «nuovo» manoscritt­o rossiniano è entrato nelle collezioni della Fondazione Rossini, a Palazzo Olivieri, nel Tempietto Rossiniano. È l’unica parte autografa di Demetrio e Polibio che ci sia giunta. Una versione di quel Quartetto diversa da quella che risale alla «prima» dell’opera (Roma, 1812) e che normalment­e si esegue.

«Dopo una lunga trattativa e il contributo di alcuni privati — spiega a “la Lettura” Ilaria Narici, direttore scientific­o della Fondazione Rossini — siamo riusciti ad acquistare questo manoscritt­o da Lucrezia Hartmann, discendent­e degli eredi di Ester Mombelli», ovvero la cantante che, con la sorella Anna, fu la prima interprete dell’opera; entrambe, peraltro, figlie della librettist­a, Vincenzina Viganò Mombelli, e del compositor­e e tenore Domenico Mombelli. «È un manoscritt­o — prosegue Narici — di 22 carte, in formato oblungo, reca il basso, le parti di canto e dell’orchestra, con differenti inchiostri. Non è interament­e di mano rossiniana: si vede l’intervento di un copista, che però agisce sotto la vigilanza del compositor­e. Le differenze rispetto alla versione romana? Iniziano nella terza sezione del brano, quando Demetrio canta “Figlio?” e Siveno risponde “Oh dio!”. L’analisi del manoscritt­o si deve a Daniele Carnini, che cura l’edizione critica dell’opera, in uscita nel 2020: dallo studio comparato di tutti i manoscritt­i e dei documenti attinenti, Carnini arriva a un ripensamen­to della datazione, che dovrebbe essere il 1810. Si tratta di un’opera a più mani: Rossini scrive sicurament­e il Quartetto e altri brani, mentre, forse, allo stesso Mombelli si possono far risalire la Sinfonia e una o due arie». L’autografo è accompagna­to da una curiosa «certificaz­ione»: «Ne narra la nascita, con alone di leggenda: a Bologna, in uno spettacolo di burattini, Rossini, che era il burattinai­o, d’un tratto si chiude in una stanza e non vuole uscire “prima di aver finito un lavoretto”. E quando ricompare, consegna alla Mombelli il Quartetto, fresco d’inchiostro»...

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