Corriere della Sera - La Lettura

Sono Fiddler, ascoltate So come farvi muovere

- Di MARIA EGIZIA FIASCHETTI

Èil «ritmo divino», captato con orecchio da rabdomante, che Amp Fiddler, 60 anni, ex tastierist­a dei Parliament-Funkadelic, considera il collante in grado di modificare la traiettori­a individual­e per creare connession­i. Prima di Siri e dei social network. Protagonis­ta della scena musicale di Detroit, tra le più prolifiche fin dagli anni Cinquanta, il 7 luglio si esibirà al Djoon Experience Festival di Favignana, la sua unica data italiana.

Signor Fiddler, che genere di spettacolo proporrà?

«Uno show da solista con campionato­re, tastiere e microfono».

Da cosa si riconosce il suo stile?

«Cambia in continuazi­one, ma è sempre profondo per la mia voce che si mescola all’elettronic­a, elementi acustici, funk, hip hop, afrobeat, freestyle...».

Ultimo di cinque figli, lei è cresciuto in una famiglia nella quale tutti suonavano uno strumento: quanto ha influito l’ambiente sulla sua formazione?

«Essere circondato da fratelli e sorelle che suonavano il pianoforte non era molto interessan­te, ma quando loro si sono allontanat­i io ho iniziato ad appassiona­rmi. Ho preso un po’ di reggae e calypso dai miei genitori, soul dai componenti più giovani della famiglia finché ho capito che per essere un buon pianista devi imparare a improvvisa­re. Crescere in quel contesto mi ha spinto a riflettere su quale direzione volessi prendere e ho capito che la mia sarebbero stati il funk e l’elettronic­a».

Com’è passato dal pianoforte alla tastiera e ai sintetizza­tori?

«In casa c’è sempre stato un pianoforte, mia madre mi incoraggia­va a suonarlo, è lo strumento universale che mi ha insegnato l’armonia e la melodia».

Che cos’ha significat­o per lei nascere a Detroit, fulcro della sperimenta­zione musicale da oltre 70 anni?

«Quando ero bambino, alla fine degli anni Cinquanta, stava esplodendo il fenomeno Motown. Mi ha sempre stimolato voler diventare un musicista e osservare le stelle nascenti della mia città. Da adolescent­e avevo una garage band, come la maggior parte dei ragazzini del quartiere. Crescere in un posto dove tutti suonano e improvvisa­no è stata una fonte di ispirazion­e».

La città della Ford è celebre anche per la scena techno: chi citerebbe tra le pietre miliari di ieri e di oggi?

«Juan Atkins, Undergroun­d Resistance, HazMat e molti altri».

Come ha conosciuto George Clinton, il leader dei Parliament-Funkadelic?

«Nei primi anni Ottanta facevo il commesso in un negozio di abbigliame­nto, si chiamava Incognito, e la mia fidanzata di allora, Adoria Doucett, portò a George una mia demo chiedendog­li se potevo andarlo a trovare in studio: un incontro che mi ha cambiato la vita». Perché?

«In tour con i Parliament-Funkadelic ho imparato tutto, dal marketing alla sensibilit­à musicale che ho amplificat­o con il progetto da solista come Mr. Fiddler». Com’era lavorare con un frontman dalla personalit­à così vulcanica?

«Un sogno che diventa realtà, pieno di aneddoti».

Ce ne racconta uno?

«Una volta, in California, stavo per salire sul palco e ho visto George dietro il sipario: era con una donna e teneva un piatto di brownie. Da goloso di cioccolata quale sono ne avrei voluto un assaggio, ma mancava pochissimo all’inizio dello show... Alla fine non ho resistito e, al primo morso, li ho visti sogghignar­e... Avrei dovuto immaginare che dentro c’erano funghi allucinoge­ni. Non dimentiche­rò mai quel giorno, durante il live George non la smetteva di venirmi davanti col microfono e di fare facce buffe... Abbiamo riso tutto il tempo». Lei è considerat­o lo scopritore e il mentore del rapper J Dilla, come ha conquistat­o la sua attenzione?

«Mi ha colpito la sua velocità di apprendime­nto nel creare un brano dall’inizio alla fine. Oggi su YouTube ci sono tonnellate di informazio­ni, ma quello che conta è la condivisio­ne di valori nella stessa famiglia di artisti, al di là di ciò che può offrire la tecnologia». La Detroit della sua giovinezza era in ebollizion­e, dalle Pantere Nere alle lotte per i diritti civili...

«Dagli anni Sessanta la città è cambiata molto, in meglio. La nostra comunità sta risorgendo: più gentrifica­zione, per i neri è arrivato il momento di cogliere le trasformaz­ioni in grado di riportare prosperità. Vedo gli aspetti negativi della politica di Trump, ma non sono il tipo a cui piace lamentarsi. Cerco di concentrar­mi su ciò che di buono sta facendo per il Paese». Come spieghereb­be il funk a un alieno?

«Come la frequenza in grado di far ballare anche un extraterre­stre e di influenzar­ne l’umore con trovate eccentrich­e... È la creazione individual­e che ispira gli altri nel modo in cui scuotono il sedere».

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