Corriere della Sera - La Lettura

Disegnerò anche con le mani legate

- di SEVERINO COLOMBO

L’intervista Tra due giorni, martedì 18 giugno, Attilio Cassinelli — per tutti, sempliceme­nte, Attilio — compirà 96 anni, almeno novanta in più dei suoi piccoli e piccolissi­mi lettori. Molti dei quali nel frattempo sono diventati a loro volta genitori e nonni. Perché Attilio colora storie per l’infanzia da sempre e sempre con uno stile inconfondi­bile: toni piatti, nessuna sfumatura, contorni spessi e neri. «I miei personaggi sono tutti animali, noi avevamo una coscienza ambientale già negli anni Sessanta. Ma mi piacciono le cose semplici, e anche ai bambini piace la semplicità. Non ho mai preteso di insegnare qualcosa, ma se capita è un bel risultato»

Di smettere di disegnare non ne vuole sapere, del resto di cose da dire ne ha ancora molte. Il disegnator­e Attilio Cassinelli — in arte, sempliceme­nte, Attilio — tra due giorni, il 18 giugno, compirà 96 anni («Non farò una grande festa» avverte): almeno 90 in più dei suoi lettori che sono i bambini, piccoli e piccolissi­mi, della fascia prima infanzia. Come ha iniziato a fare l’illustrato­re?

«Ho disegnato sempre, dai 5 anni fino a oggi. È diventata una profession­e a tempo pieno quando ho lasciato la banca dove lavoravo. Da Genova mi ero trasferito alla filiale di Milano e mi sono licenziato dopo qualche giorno. Appena uscito mi sono iscritto alla scuola di pittura di Augusto Colombo. Ho cominciato disegnando su commission­e le cose più disparate, grafica pubblicita­ria, caricature, illustrazi­oni, finché un giorno l’amico di un amico mi ha passato un lavoro per i più piccoli e per la prima volta ho disegnato animali stilizzati geometrici dal contorno nero ben marcato, che somigliava­no già molto a quelli che mi hanno accompagna­to per tutta la vita». Se dovesse scegliere alcune tappe della sua carriera quali indichereb­be?

«Quando ho capito che potevo mantenermi con i miei disegni. La fiera di Bologna del 1965: con un amico avevamo uno stand con le prime illustrazi­oni della Ca

sa sull’albero stampate molto grandi; quella diventò poi la mia prima collana con i testi di Karen Gunthorp. Renato Giunti passò di lì e ne restò colpito, mi chiese di cominciare a lavorare per la sua casa editrice e la faccenda è andata avanti per più di vent’anni. Ricordo con grande piacere la totale libertà espressiva di cui ho goduto, ogni idea che mi è venuta è stata realizzata come l’avevo pensata: libri, giochi, collane. E adesso questo ritorno, con le fiabe per piccoli di Lapis Editore e le mie nuove storie di natura».

Dagli anni Sessanta ha scelto di vivere ritirato e un po’ in disparte, lontano dalla scena editoriale. Perché?

«Avevo, come ho detto, una totale libertà espressiva, non c’era motivo di frequentar­e la scena editoriale; appena possibile con la famiglia ci spostavamo in campagna o al mare per lunghi periodi. Io disegnavo, inventavo storie. Ho sempre lavorato, e se non erano disegni dipingevo, e per riposarmi camminavo, ero un gran camminator­e. A metà degli anni Ottanta la casa editrice Giunti ha ritenuto che il mio lavoro non fosse più interessan­te, ma io ho continuato a lavorare co

me sempre per tutti questi anni».

Negli ultimi tempi è stato «riscoperto»: nel 2017 ha ricevuto diversi riconoscim­enti, quest’anno è stato premiato con il Bologna Ragazzi Award (Braw). Che effetto le fa ora quest’attenzione?

«Un’inaspettat­a rinascita. Mia figlia Alessandra non ne poteva più di vedermi lavorare e condivider­e solo con lei idee che rimanevano nel cassetto. In molti le scrivevano per sapere dove trovare i miei libri. Così, con l’amica Diletta Colombo, ha deciso di rilanciarm­i. Poi l’incontro con Rosaria Punzi, editrice di Lapis, è stato decisivo. I riconoscim­enti fanno piacere e mi hanno dato uno stimolo in più».

Il suo stile è semplice, elementare, infantile: colori piatti e senza sfumature. Come mai questa scelta?

«Quello del tratto grosso è uno dei registri che uso. Mi piacciono le cose semplici e anche ai bambini piace la semplicità e la chiarezza». Il suo linguaggio riesce a parlare ai piccolissi­mi di questioni importanti:

amicizia, libri sono attenzione occasioni di per svago l’ambiente... o devono I trasmetter­e un messaggio?

«Se si riesce a fare entrambe le cose è un bel risultato, non ho mai preteso di insegnare».

Come lavora? Usa matite e colori? Pennarelli o pennelli? Utilizza anche computer o iPad?

«Uso matite, pennelli, pennarelli, tempera; amo sperimenta­re tecniche e materiali, ho tutto sottomano. Uso anche il computer, soprattutt­o per il colore». Quali ore del giorno preferisce?

«Faccio orario d’ufficio. La sera soltanto in caso di emergenza». È stato anche creatore di giocattoli...

«Ho disegnato pupazzi e poi li ho realizzati per una ditta di giocattoli a Milano. Ho ideato una trentina di giochi da tavolo, di cui ho curato tutto: grafica, materiali, anche scatola e confezione».

Negli anni Sessanta ha realizzato per Giunti «Lo zoo di carta» con figure di animali da costruire. Un’idea molto

originale e moderna. Come è nata?

«Ho sempre cercato strade nuove: oltre alla pittura, mi piace molto la scultura. Pensavo che potesse essere una piccola magia per i bambini creare da soli un animaletto tridimensi­onale da un foglio di carta».

Particolar­i sono state anche le sue illustrazi­oni per «Pinocchio». In quel caso come aveva lavorato? «Pennelli sottili, tempera e matite. È stato un lungo lavoro».

Qual è il libro per ragazzi che preferisce o la fiaba alla quale è affezionat­o?

«Ero un appassiona­to lettore del “Corriere dei Piccoli”. Le illustrazi­oni di Sergio Tofano e poi Pinocchio, con le sue peripezie, mi hanno sempre affascinat­o». Che bambino era? Monello, tranquillo, curioso? Che cosa leggeva?

«Mio padre diceva: “Buono e attento a quello che succedeva”. Leggevo con piacere i racconti di Jack London e Robinson

Crusoe. Pensavo molto e guardavo a lungo i libri che avevamo in casa, anche la

Divina Commedia di Doré, forse perché c’erano grandi seni e grandi natiche. Per fortuna un amico di famiglia ha capito che disegnavo e mi ha regalato uno scatolone di matite colorate. Non ho più smesso. Mi ero allestito uno studiolo in una stanza non utilizzata». Che mestiere voleva fare da grande?

« Non pensavo di “diventare grande”».

Lavora ancora. Che cosa le piace del suo lavoro?

«Disegnare, entrare nel mondo dei miei personaggi, fare il meglio che posso. In passato ho avuto un problema fisico, ma ho continuato a disegnare anche con le mani semi paralizzat­e, con le matite legate con gli elastici (P.S.: se questo dettaglio fa piangere non mettiamolo. Comunque è vero: disegno sempre, per lavoro o per passione)». Come sono nati i nuovi progetti per Lapis Editore?

«Le fiabe classiche vengono da una sfida lanciata dall’amica Diletta dello spazio B**K a Milano. Non avevo mai affrontato questo genere di illustrazi­oni. Abbiamo riso, ma con quel rigone nero sono nati caratteri interessan­ti. Invece la mia collana su natura e ambiente è solo un ritorno a vecchi temi e personaggi. A proposito dell’ambiente: negli anni Sessanta per me, per i miei amici, era già grave la preoccupaz­ione per l’inquinamen­to. Una coscienza ambientale ce l’avevamo già. I miei personaggi sono tutti animali e credo che l’immedesima­zione con gli animali sia un processo importante. Fino a che non impareremo a rispettarl­i ne pagheremo le conseguenz­e». Per questo mestiere occorre più creatività o più metodo?

«Sicurament­e creatività».

Che effetto le fa pensare che i piccoli lettori che sono cresciuti con i suoi libri oggi siano genitori o nonni? «Che i libri passino di generazion­e in generazion­e mi lusinga molto».

Un pensiero sui bambini di oggi...

«Molto diversi, tecnologic­i, ma noto con piacere che apprezzano le fiabe».

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