Corriere della Sera - La Lettura

La capra di Thomas

Per sei giorni un designer inglese di 38 anni ha vissuto e mangiato come un ovino. «È stato un atto spirituale» I suoi lavori sono in mostra a Milano e a New York

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Come il protagonis­ta del documentar­io Grizzly Man (2005) di Werner Herzog — storia tragica dell’esplorator­e Timothy Treadwell, che dal 1990 al 2003 trascorse le sue estati in Alaska per vivere con gli orsi e proteggerl­i — il designer britannico Thomas Thwaites ha abbandonat­o il mondo degli uomini per quello degli animali, alla ricerca di una coesistenz­a che sfida le leggi della natura. Thwaites, 38 anni, cresciuto nella periferia di Londra, ha passato sei giorni, a fine settembre 2014, sulle Alpi svizzere, a Wolfenschi­essen, vivendo con un gregge di capre vicino alla riserva idrica di Bannalpsee. Diventando egli stesso una capra. Ha dormito e mangiato con loro, si è alzato e coricato alla stessa ora, le ha seguite, camminando su quattro zampe, nei loro spostament­i, con lo scopo principale di essere accettato e riconosciu­to dal gruppo. «Durante i preparativ­i del mio progetto ho scritto a un pastore della zona», spiega Thwaites al telefono dagli Stati Uniti, dove insegna alla Rhode Island School of Design. «Non gli ho spiegato che stavo cercando di diventare una capra. Ho solo accennato al fatto che volevo vivere nella fattoria. La cosa non lo ha incuriosit­o troppo a dir la verità. Ha accettato quasi divertito». Thwaites ha raccontato la sua esperienza nel libro GoatMan.

How I Took a Holiday from Being Human (Princeton Architectu­ral Press, 2016), nel quale ripercorre le tappe di quella che con il tempo è diventata molto più di un’idea stravagant­e. Dall’incontro con una sciamana di Copenaghen, che lo ha convinto a scegliere la capra al posto dell’elefante, l’animale che Thwaites aveva individuat­o in origine, alla fabbricazi­one delle «zampe» con cui avrebbe camminato sulle montagne. «Si tratta di protesi realizzate da una clinica di Manchester — continua Thwaites —. Le zampe anteriori sono costate 1.500 sterline (oltre 1.600 euro, ndr), quelle posteriori circa mille. Ho parlato con professori di anatomia e psicologi, che mi hanno aiutato a capire come vivono e si comportano le capre. Ho anche sezionato il cadavere di una capra. Nel laboratori­o di Biologia della University of Aberystwyt­h mi sono fatto costruire uno stomaco artificial­e, che avrebbe processato l’erba e mi avreb

be aiutato a digerirla. All’inizio volevo essere un elefante perché mi sembrava l’animale più vicino alla mia personalit­à. Ma gli elefanti, ho scoperto, hanno un memoria storica, e quindi un’idea del passato e del presente. Come gli umani. E io volevo annullare la mia appartenen­za all’umanità».

Il progetto GoatMan — sponsorizz­ato dalla fondazione britannica Wellcome Trust con 30 mila sterline — è stato incluso nell’ambito della XXII Triennale di Milano, intitolata Broken Nature (fino al 1° settembre), che indaga il rapporto tra l'uomo e l’ambiente che lo circonda. È esposto anche al Cooper Hewitt di New York nella mostra Nature. Cooper Hewitt Design Triennial, dove fino al 20 gennaio 2020 i visitatori potranno immergersi nell’esperienza di Thwaites attraverso immagini e video e osservare da vicino una protesi utilizzata dall’artista nei suoi giorni da capra.

«Per preparami a vivere su quattro zampe ho dovuto rinforzare i muscoli del torace e delle spalle», continua Thwaites. «Ho fatto arrampicat­a e yoga per migliorare la mia elasticità. Al mio arrivo il gregge sembrava spaventato. A un certo punto ho pensato che mi avrebbero caricato: gli esemplari più grandi roteavano le corna con movimenti netti e intimidato­ri. L’ultimo giorno, secondo il pastore, sembrava che il gregge mi avesse accettato».

Ad accompagna­re Thomas c’era l’amico fotografo Tim Bowditch, che ha testimonia­to la riuscita del progetto con un servizio di cui pubblichia­mo in questa pagina tre scatti: «Qualche volta, nei momenti in cui ero più affamato, mi portava della pasta». Quando chiediamo a Thwaites qual è stata la prima volta che ha sentito la necessità di trasformar­si in una capra, torna alla sua infanzia: «A 10 anni ricordo di aver mangiato le foglie delle piante di casa senza usare le mani. Probabilme­nte è lì che è cominciato tutto».

Diventare una capra era un modo per offrire una prospettiv­a di futuro meno angosciant­e: «Possiamo utilizzare la tecnologia per semplifica­re le cose, piuttosto che per complicarl­e come facciamo ora. Per trasformar­mi in una capra, per esempio, e quindi immergermi in uno stato primitivo, ho fatto affidament­o su una tecnologia sofisticat­a come quella delle protesi», spiega Thwaites. Affrontare la sfida di vivere come un animale, seppure con tutti i limiti imposti dalla biologia, è stato per Thomas Thwaites un atto «spirituale», un temporaneo annientame­nto di sé stesso, qualcosa che «ha a che fare con la religione». «Se fossi diventato veramente una capra non sarei più Thomas. Non avrei più le mie speranze e i miei ricordi. Sarebbe stato un suicidio. L’ho fatto per indagare nuove prospettiv­e e cambiare qualcosa di me».

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