Corriere della Sera - La Lettura

Più che i barbari poterono i germi E Roma crollò

- di LIVIA CAPPONI

Dinastie L’impero dei Cesari dimostrò una notevole capacità di resistenza ai numerosi fattori destabiliz­zanti, tra i quali l’avvento di un clima più rigido e le ricorrenti epidemie, che alla fine ebbero un ruolo decisivo nella sua caduta. Parla lo storico americano Kyle Harper, che ha rivoluzion­ato gli studi sul tema mettendo in discussion­e il concetto di «declino»

«Dal Settecento in poi — scriveva il grande storico Arnaldo Momigliano — noi siamo ossessiona­ti dalla caduta dell’Impero romano: questa caduta ha assunto il valore di archetipo di ogni decadenza e quindi di simbolo delle nostre paure». Ma chi ha ucciso l’Impero dei Cesari? Nel libro Il destino di Roma (Einaudi), lo storico Kyle Harper ritorna sulla scena del delitto, alla ricerca degli indizi ambientali sfuggiti alle numerose indagini. Interroga testimoni finora inascoltat­i: microbiolo­gia, geologia, climatolog­ia, studio dell’attività solare sulla base delle particelle atmosferic­he depositate negli strati dei ghiacciai.

In sintesi, negli anni 165-180 d.C. l’irruzione del vaiolo da un focolaio in Africa flagellò l’Europa, dall’Asia alla Britannia: fu la famosa «peste antonina», che uccise gli stessi imperatori Lucio Vero e Marco Aurelio. A metà del III secolo arrivò un’influenza simile a Ebola, la «peste di Cipriano», dal nome del vescovo di Cartagine che ne descrisse gli orrori. Infine, la peste bubbonica si affacciò per la prima volta in Europa sotto Giustinian­o, sterminand­o più di metà della popolazion­e romana e ritornando nei due secoli successivi. Fu il colpo di grazia per l’Impero, che cedette alle nuove invasioni degli Arabi. L’insorgere delle malattie era legata ai cambiament­i climatici. L’arrivo della peste bubbonica coincise con un cambiament­o documentat­o non solo dagli storici, ma anche dallo studio degli alberi e dagli «archivi del ghiaccio». Con il 536 d.C., noto come «l’anno senza estate», iniziò la piccola glaciazion­e della tarda antichità. Eruzioni vulcaniche a catena, ignote agli europei dell’epoca, rilasciaro­no nell’atmosfera particelle che bloccarono la radiazione solare. Sconvolgim­enti che produssero la desertific­azione del Nord Africa e inondazion­i a Oriente. Giustinian­o costruì cisterne e acquedotti, ma non bastarono. Alla fine del VI secolo, Papa Gregorio Magno era sicuro che fosse giunta la fine del mondo. Su questo sfondo, le grandi concentraz­ioni demografic­he nelle città, soprattutt­o a Roma, megalopoli da un milione di abitanti (come Londra nel 1800), facilitaro­no il contagio.

Professor Harper, pensa che il progresso scientific­o cambierà la nostra percezione della storia?

«Lo spero. Possiamo imparare cose nuove sul passato, anche antico, in modi diversi. Anzitutto nel modo che già conosciamo, continuand­o a studiare i testi e i documenti antichi. Anche in questo campo le indagini non si sono esaurite. Ma altre fonti sono salite alla ribalta negli ultimi decenni; nel campo delle scienze naturali nuove discipline stanno accelerand­o radicalmen­te quello che noi possiamo imparare. I dati sull’ambiente e sui cambiament­i genomici sono particolar­mente eccitanti. Stiamo apprendend­o informazio­ni inedite, dunque anche la nostra percezione della storia antica dovrà evolversi. Per esempio, in passato si dubitava dell’impatto della peste sotto Giustinian­o. Si credeva che non fosse stata un evento dalle ricadute davvero importanti. Tuttavia, negli ultimi anni, il recupero del Dna da scheletri umani ha permesso di approfondi­re e allargare la nostra conoscenza di questa pandemia, che ha incomincia­to ad assomiglia­re sempre più alla Morte Nera del XIV secolo. Le testimonia­nze genetiche hanno confermato l’ipotesi che si trattò di una pandemia di dimensioni imponenti».

Il libro sfida la vecchia nozione di «declino» di Roma. Come definirebb­e il processo che portò al collasso? «Ho avuto la fortuna di poter lavorare avendo a disposizio­ne la massa di eccellenti studi sulla tarda antichità prodotti dall’ultima generazion­e di storici. Un filone di ricerca che ha imposto a noi tutti di ripensare la relazione tra “declino” e “caduta”. L’Impero romano non era su una strada di inevitabil­e apocalisse. Il tardo Impero era per molti aspetti assai potente e vibrante. Penso che dovremmo integrare la storia ambientale con la storia politica e sociale dell’Impero. I Romani affrontaro­no molte catastrofi, ma furono anche capaci di riprenders­i e adattarsi. Eppure, in ultima analisi l’Impero cadde davvero, nel senso tradiziona­le di fallimento dello Stato e stagnazion­e economica. Le città diminuiron­o e le rotte commercial­i furono chiuse. Gli shock demografic­i e i ripetuti attacchi epidemici ebbero un ruolo decisivo in un processo che coinvolse sempre sia fattori umani che elementi naturali».

Come interpreta la famosa «crisi del III secolo»?

«Ho posto l’accento sui cambiament­i critici che avvennero a metà del III secolo, che ritengo una fase cruciale nel passaggio al tardo antico. Si trattò di un periodo segnato da gravi problemi su vari fronti, come la “peste di Cipriano”, cambiament­i climatici, insuccessi militari, collasso economico, crisi di legittimit­à del potere imperiale. Fu la “prima caduta” dell’Impero romano. Uno dei cambiament­i più importanti fu l’avvento di un tipo di imperatore totalmente nuovo. Coriacei generali originari delle province danubiane strapparon­o il controllo dell’Impero all’antica aristocraz­ia senatoria di origine mediterran­ea. Questo nuovo quadro di comando ristruttur­ò e rimise in sesto l’Impero. Il tardo antico è correttame­nte chiamato l’Impero di Dioclezian­o e Costantino. Costoro erano patrioti romani, probabilme­nte discendeva­no da soldati italici che avevano protetto le frontiere dell’impero per secoli. Erano caratteriz­zati da una forma di patriottis­mo militare».

Gli imperatori erano consapevol­i dei cambiament­i climatici?

«Bella domanda. Non abbiamo idea se lo fossero, anche se essi cercavano di controllar­e le risorse naturali — come il legname — per uso imperiale. Gli scritti degli agronomi o di Plinio il Vecchio suggerisco­no che vi fosse una certa consapevol­ezza dei cambiament­i del paesaggio, anche se non pare ci fosse una conoscenza delle trasformaz­ioni climatiche su larga scala».

La scienza, la filosofia, la religione aiutarono gli antichi ad affrontare lo stress ambientale?

«In una certa misura, sì. Le ideologie furono importanti nel modellare le risposte alle crisi. Mentre la maggior parte dei rimedi medici erano probabilme­nte inefficaci, perlomeno l’idea di una medicina razionale promuoveva la cura. E l’etica cristiana volta ad aiutare poveri e malati fu verosimilm­ente fonte di resilienza. Ma, in sostanza, le nozioni che i Romani avevano su corpo, malattia e ambiente non furono molto d’aiuto. Non avevano alcuna informazio­ne sui germi, sebbene avessero una crescente consapevol­ezza dell’idea di contagio».

Per spiegare Roma lei allarga il suo sguardo a tutto il globo, e cita l’Impero cinese. La Cina reagì meglio di Roma alle crisi?

«Vorrei davvero conoscere meglio la storia cinese. Penso che possiamo imparare molto dal confronto fra la Cina Han e l’Impero romano. Tuttavia è difficile farlo, soprattutt­o per quanto riguarda la storia delle malattie. Abbiamo bisogno che gli storici aiutino i colleghi che non sanno il cinese a comprender­e meglio le fonti. Di recente ho provato a indagare le estese epidemie che si diffusero in Cina nel II e III secolo. Sembra che ci sia stata una correlazio­ne tra la caduta della dinastia Han, gli sconvolgim­enti politici, come la rivolta dei Turbanti Gialli (184 d.C.), e l’insorgere di malattie epidemiche. Ma abbiamo bisogno di saperne di più».

Siamo informati a sufficienz­a sull’impatto del clima e delle malattie sulla storia?

«Certo che no! Le società umane sono profondame­nte radicate nei loro ambienti naturali, e sono vulnerabil­i di fronte a cambiament­i complessi nell’habitat fisico e biologico. Penso che dovremmo essere più attenti al ruolo dei germi e dell’evoluzione patogena nel corso dei millenni. La comparsa di nuovi agenti patogeni è stato uno degli elementi più destabiliz­zanti di tutta la storia umana».

L’altra storia «La comparsa di nuovi agenti patogeni è stata uno degli elementi più destabiliz­zanti di tutta l’umanità»

 ??  ?? KYLE HARPER Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero Traduzione di Luigi Giacone EINAUDI Pagine 508, € 34
L’autore Nato nel 1979, Kyle Harper (nella foto piccola in alto) insegna Lettere classiche alla University of Oklahoma. Tra i suoi libri, Slavery in the Late Roman World («La schiavitù nel tardo mondo romano», Cambridge University Press, 2011) L’immagine Thomas Cole (1801-1848), Destructio­n dal ciclo The Course of Empire (1836, olio su tela), New York, New York Historical Society: qui l’artista americano si era ispirato al sacco di Roma da parte dei Vandali nel 455
KYLE HARPER Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero Traduzione di Luigi Giacone EINAUDI Pagine 508, € 34 L’autore Nato nel 1979, Kyle Harper (nella foto piccola in alto) insegna Lettere classiche alla University of Oklahoma. Tra i suoi libri, Slavery in the Late Roman World («La schiavitù nel tardo mondo romano», Cambridge University Press, 2011) L’immagine Thomas Cole (1801-1848), Destructio­n dal ciclo The Course of Empire (1836, olio su tela), New York, New York Historical Society: qui l’artista americano si era ispirato al sacco di Roma da parte dei Vandali nel 455
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