Corriere della Sera - La Lettura
I ghiacci svelano come e perché cambia il clima
Ricerche Un progetto per raccogliere dati ancora più antichi, fino a 1,5 milioni di anni fa
Igrandi esploratori come Robert Scott, Roald Amundsen, Nobu Shirase, Wilhelm Filchner, Douglas Mawson, hanno affrontato viaggi epici e pericolosi nell’Antartide considerandola un ambiente immutabile. Oggi però nessun luogo appare più immune dal cambiamento climatico globale, nemmeno l’Antartide. Questo immenso continente, oltre 14 milioni di chilometri quadrati, può essere diviso in due parti: l’Antartide occidentale, geologicamente prosecuzione delle Ande, dove le calotte di ghiaccio sono ancorate su fondali marini profondi quasi un chilometro, e l’Antartide orientale, dove le calotte sono ancorate al suolo continentale.
Da alcuni decenni è in atto lo scioglimento dei ghiacci della parte occidentale, un processo complesso e variabile che contribuisce significativamente all’innalzamento del livello del
mare, rilevato da satellite, di 3-4 millimetri all’anno, negli ultimi decenni. Per dare un’idea dei volumi di ghiaccio in gioco, se tutta l’Antartide occidentale si sciogliesse, l’innalzamento globale dei mari sarebbe di 5 metri. Più di recente, esaminando immagini satellitari dal 2008 a oggi, gli scienziati hanno scoperto che anche numerosi ghiacciai dell’Antartide orientale si stanno destabilizzando: il loro bilancio di massa negativo coinvolge un ottavo della fascia costiera. Inoltre, lo studio della geomorfologia della parte sommersa e la datazione dei depositi morenici ci avverte che il «collasso» di parti di calotte nel passato è stato, almeno in alcuni casi, repentino, provocando in pochi secoli innalzamenti del mare anche di alcuni metri.
In Antartide l’Italia coordina un nuovo progetto di perforazioni scientifiche delle calotte di ghiaccio per cercare di estendere le nostre conoscenze del passato climatico, raggiungendo 1,5 milioni di anni di record continuo. Il progetto Beyond Epica, coordinato dal nuovo Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle r i ce r c he , co i nvo l g e 1 4 i s t i t uz i o ni scientifiche di dieci Paesi ed è finanziato dalla Commissione europea.
Fino ad ora si era giunti a 800 mila anni fa con il precedente progetto Epica, che ha consentito importanti avanzamenti nella comprensione dei passaggi tra periodi di glaciazione e interglaciali. Raggiungere un ghiaccio più antico del doppio permetterà di migliorare la nostra comprensione del clima e soprattutto la sua capacità di cambiare repentinamente: retrocedere di 1,5 milioni di anni consentirebbe soprattutto di capire cosa sia avvenuto quasi un milione di anni fa, quando le alternanze glaciale-interglaciale sono
passate da una periodicità di 40 mila anni a una di 100 mila. Proprio perché l’uomo sta modificando il sistema climatico oggi, è importante capire come questo complesso sistema operasse in passato.
Rispetto ad altri Paesi, l’Italia è arrivata scientificamente in Antartide piuttosto tardi con la prima spedizione Cai-Cnr, il viaggio epico compiuto nell’estate polare 1968-69 da Marcello Manzoni e Ignazio Piussi sulla catena Trans antartica, raccontato dallo stesso Manzoni nel bellissimo libro Zingari in Antartide( Alpine Studio, 2012). In modo sistematico, però, le ricerche italiane sono state avviate solo a metà degli anni Ottanta e da allora abbiamo recuperato ampiamente il gap. La nostra ricerca antartica si estende sui principali fenomeni globali, include scienze della Terra, fisica dell’atmosfera, cosmologia, biologia, medicina, oceanografia. Ed è supportata da una tecnologia e da una logistica estremamente impegnative. Dal 1985 le attività scientifiche italiane sono inquadrate nel Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra), finanziato dal ministero dell’Istruzione, dell’università e ricerca con il coordinamento scientifico del Cnr e quello logistico dell’Enea.
La Stazione Mario Zucchelli a Baia Terra Nova si trova lungo la costa della Terra Vittoria settentrionale, su una piccola penisola rocciosa. È utilizzata come alloggio e laboratorio dai ricercatori impegnati soprattutto nelle attività di chimica, geologia, biologia nell’Area marina protetta del Mare di Ross, la più grande al mondo con una superficie di circa 1,57 milioni di chilometri quadrati: più del doppio di Adriatico, Ionio e Tirreno messi insieme. La riserva ospita centinaia di specie animali tra i quali i pinguini di Adelia e Imperatore, foche, balenottere, nonché pesci molto particolari che, per vivere in questi freddissimi mari dove le temperature scendono sotto lo zero, sono dotati di un curioso metabolismo: una sorta di antigelo naturale. L’Area impegna i Paesi sottoscrittori a promuovere le attività di ricerca sull’intero ecosistema del Mare di Ross e sull’influenza che i cambiamenti climatici esercitano su di esso, contrastando la pesca commerciale che si è spinta fino a queste latitudini.
Le attività di ricerca italiane si svolgono inoltre nella Stazione italofrancese Concordia, situata sul plateau a circa 1.200 chilometri dalla costa e a 3.230 metri di altezza, a Dome C. Nell’ambito dell’ultima campagna antartica promossa dal Pnra, la 35ª, è stata portata a buon fine l’installazione del radar ionosferico denominato Dome C North (Dcn). Questa struttura e l’omologo Dome C East (Dce), operativo a Concordia dal 2013, fanno parte della rete di radar Hf (alta frequenza) del progetto internazionale Super Dual Auroral Radar Network (SuperDARN), coordinato dall’Istituto nazionale di astrofisica con la collaborazione del Dipartimento Terra e Ambiente del Cnr e dedicato allo studio del moto del plasma e degli effetti dei fenomeni di meteorologia spaziale nella ionosfera dalle medie latitudini, fino alle aree polari degli emisferi Nord e Sud.
È anche grazie all’Italia se in Antartide il principio della cooperazione scientifica è fino ad ora prevalso su quello della competizione e dello sfruttamento geopolitico, militare ed economico: grazie al Trattato Antartico al quale hanno aderito 50 nazioni, che comprendono più dell’80 per cento della popolazione mondiale, e al Protocollo di Madrid, che ha vietato lo sfruttamento dei minerali e degli idrocarburi di cui la regione è ricca, l’Antartide può essere definita una «terra di pace e di scienza».