Corriere della Sera - La Lettura

Ho conosciuto il dolore Mi ha trafitto il cervello

Confession­i L’ictus e i chiodi nel cranio. Le diagnosi sbagliate. La morte della compagna, l’affetto dell’altra donna di un consapevol­e triangolo amoroso. La malinconia. Il nuovo libro del filosofo narra un abisso e una risalita alla vita

- dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

«Aun tratto sento il mio cervello come perforato da una luce interiore, trafitto, bucato, attraversa­to, trapassato. Mi sembra di svenire... Penso allora a quei chiodi di ossidiana che ho visto in Messico: li usavano i precolombi­ani nei sacrifici umani, inserendol­i nel cranio delle vittime rituali con un martellett­o, anch’esso di ossidiana». Michel Onfray descrive così il momento dell’ictus all’inizio de Il lutto della malinconia (Ponte alle Grazie), «racconto intimo» rabbioso e struggente di una diagnosi mancata e poi della lunga, fatale malattia della compagna Marie-Claude Ruel.

Più di un medico ha fallito la diagnosi dell’ictus: cinque in una settimana. Non specifica i cognomi, tranne per il dottore che ha l’onore di una nota e che lei saluta alla fine del libro. Perché?

«Ho nascosto il nome dei medici che avevano qualcosa da rimprovera­rsi e che, per questo, avrebbero negato d’avere qualcosa da rimprovera­rsi. Sono rimasto sbalordito dai loro dinieghi benché io disponessi delle prove della loro imperizia. Per esempio, il medico che ha negato l’ictus diagnostic­andomi un problema all’occhio mi ha subito preso appuntamen­to in uno studio oftalmico e poi ha negato di aver detto che non era un ictus. Perché allora prescriver­mi la visita agli occhi? Poiché la malafede governa il mondo, non ho avuto voglia di fare polemica: chi conosce queste persone le avrà riconosciu­te, gli altri no. Il medico citato è il solo che non ha niente da rimprovera­rsi».

Il movente autobiogra­fico è anche politico? Vuole denunciare le mancanze del sistema sanitario francese, o della medicina, o delle due cose insieme?

«Volevo raccontare una storia autobiogra­fica al di là dell’aneddoto e che rappresent­asse l’occasione per una riflession­e sulla sanità francese ormai allo sfascio: cattiva formazione tecnica e umana dei medici, pronto soccorso ingolfati, leggerezza nelle diagnosi, carenza di qualità umane in persone che lavorano come alla catena di montaggio, deresponsa­bilizzazio­ne… Desideravo anche sottolinea­re la sufficienz­a di alcuni che usano la posizione di medici per far valere una dominazion­e simbolica malsana, che permette loro di gestire problemi esistenzia­li personali. Non si diventa medici senza avere con la morte una relazione che meriterebb­e di essere indagata».

La sua denuncia può alimentare le tendenze anti-scienza e anti-medicina già all’opera in Occidente e in particolar­e in Italia, per esempio con i no-vax?

«So che qualsiasi frase estrapolat­a dal contesto può servire a dire o farmi dire qualsiasi cosa su qualsiasi argomento, compreso soprattutt­o il contrario di ciò che penso. L’accusatore pubblico del Tribunale rivoluzion­ario Fouquier-Tinville diceva già: “Datemi una frase di chiunque e riuscirò a farlo impiccare”. Ma in nessun modo avallo le medicine parallele, i ciarlatani, l’omeopatia, il magnetismo o gli egotisti che rifiutano i vaccini preferendo l’ipotesi della pandemia per tutti».

Come sta adesso? Ha cambiato stile di vita? E lei, è cambiato?

«Sì, sto bene… Questa vicinanza con la morte obbliga a vivere in altro modo. È il senso del titolo: va elaborato il lutto della malinconia. Dopo la morte della mia compagna ho provato una sofferenza che definisco melanconic­a, etimologic­amente: una bile nera lavorava il mio corpo per portare anche lui verso l’abisso. Ho cambiato molte cose, ho messo ordine. Ho semplifica­to, andando all’essenziale».

Una delle parti più impression­anti del libro riguarda le reazioni degli amici alla notizia del suo malore. Meschineri­e, tradimenti. Ha perdonato?

«Ho voltato pagina. Non c’è bisogno di perdonare. Queste persone non fanno più parte della mia vita. E ne sono felice. Ci trasciniam­o troppi parassiti nell’esi

stenza, a un certo punto bisogna sbarazzars­ene. Sono sconvolto da tutto il tempo passato con persone così umanamente mediocri. La solitudine e il silenzio sono virtù che si imparano con l’età».

Racconta la malattia sua, ma anche quella di Marie-Claude, compagna di 37 anni di vita comune, morta nel 2013. Le pagine dedicate agli ultimi vostri giorni insieme sono commoventi e terribili. Si sente la rivolta, l’impossibil­ità di accettare il destino. È riuscito a rassegnars­i alla sua scomparsa?

«Bisogna farlo. La morte è il senso della vita. Ma qui è particolar­mente ingiusta: Marie-Claude ha trascorso la sua esistenza a fare il bene, a non aggiungere mai altro male al mondo e ha sofferto per anni senza acrimonia, senza diventare cattiva prima di andarsene così giovane. Non ci si può rassegnare. Scrivo a proposito del lutto che non siamo noi a farlo, ma che è lui a fare noi. Questo lutto mi modella. Non ho scelta. La sua morte mi aiuterà a morire. Marie-Claude mi ha preceduto. Il nulla non deve farci paura».

Ha pensato al suicidio. Come ha superato questa ipotesi?

«Si sbrigano gli affari correnti nell’ora che segue questo pensiero, il mattino dopo, il giorno dopo, la settimana dopo. Si rimanda il suicidio all’indomani che è sempre il giorno dopo, quindi mai oggi. Poi ti accorgi che hai messo in fila un giorno dopo l’altro come si piazza un passo dopo l’altro, per giorni, poi settimane e mesi. E un bel mattino capisci che quel proposito non l’hai messo in atto perché la pulsione di vita è stata più forte».

Pensa che l’ictus sia stato «preparato» dal dolore per la sua compagna? Lei si definisce materialis­ta, ma fa un legame tra il «corpo» e l’«anima» anche per i problemi di salute precedenti, come l’infarto che ha avuto tanti anni fa?

«Mangi di più, bevi di più, mangi troppo, bevi troppo. Senza però ubriacarti. Prendi chili. Lavori come un forsennato. Resti per ore alla scrivania. Scrivi fino a tardi. Riempi l’agenda di appuntamen­ti di lavoro. Dormi male, le notti sono piene di incubi. Non fai sport. Ti appesantis­ci, ti affatichi. Un giorno il corpo dice stop. Stop o ancora? A quel punto devi scegliere, se la morte non ha già scelto per te».

Altro aspetto notevole del racconto è la vita con Marie-Claude e con Dorothée, allo stesso tempo. Il tema è appena sfiorato, per dire che entrambe sapevano e che Dorothée è stata preziosa anche nell’aiuto concreto durante la malattia di Marie-Claude, per esempio andava lei a cercare le bombole di ossigeno nei weekend… Può dire di più?

«Sì. C’erano due donne nella mia vita con l’accordo di ognuna di loro. Non è stato un adulterio borghese con i misteri, le vite parallele e le menzogne, le doppie famiglie. Ma una costruzion­e su misura delle nostre vite amorose e affettive. Marie-Claude e Dorothée sono state, e Dorothée lo resta, donne formidabil­i. Dolci e generose, senza bassezze né cattivi pensieri, amorevoli e presenti. Abbiamo costruito in tre un’avventura nella quale c’è stato rispetto e libertà. Ma non è ancora il momento di darne i dettagli».

Lei evoca la possibilit­à di avere più relazioni insieme anche in «Teoria del corpo amoroso». Qual è la sua definizion­e di fedeltà?

« Teoria del corpo amoroso era in modo molto esplicito il libretto di istruzioni della nostra coppia libertaria. Non ne ho dato la chiave all’epoca, solo pochi sapevano, ma quel libro, come tutti i miei altri libri, procedeva da un’esperienza vissuta e non da una teoria pura. La fedeltà suppone un oggetto. Si è fedeli a un impegno, a una promessa, a un contratto. Se non c’è stato né impegno né promessa né contratto, non ci può essere fedeltà. La fedeltà è per me promessa di amore e l’amore è desiderio di invecchiar­e, soffrire e morire con una persona. Le vite di ciascuno spesso sono doppie, hanno cassetti segreti. Propongo che ognuno costruisca la sua coppia su misura, in funzione di chi è, di quel che si augura, di quel che vuole. La coppia eredità della tradizione giudaico-cristiana, che prevede coabitazio­ne, castità, riproduzio­ne e monogamia, non funziona. Come se un solo e unico abito potesse stare bene agli alti e ai bassi, ai magri e ai grassi. Ci vuole un abito esistenzia­le su misura. Una coppia non può esistere senza il contratto che ha scritto per sé stessa: a ciascuno il compito di metterci quel che desidera. La fedeltà sarà fedeltà a questo contratto».

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AMALIA CARATOZZOL­O ILLUSTRAZI­ONE DI
 ??  ?? MICHEL ONFRAY Il lutto della malinconia Traduzione di Michele Zaffarano PONTE ALLE GRAZIE Pagine 128, € 13
L’autore Michel Onfray (Chambois, Francia, 1959), cresciuto fino a dieci anni in un orfanotrof­io e poi rientrato in famiglia, si è avvicinato alle idee anarchiche fin da giovane e si è laureato in Filosofia, materia che ha insegnato in un Istituto tecnico di Caen dal 1983 al 2002. Nel frattempo ha iniziato la produzione saggistica, con libri che toccano diversi temi: Il ventre dei filosofi. Critica della ragione dietetica (1989, per Rizzoli 1991, riedito come I filosofi in cucina nel 2001), Cinismo (1990, Rizzoli 1992), L’arte di gioire. Per un materialis­mo edonista (1991, Fazi 2009), Trattato di ateologia (Fazi, 2005), Teoria del corpo amoroso (Fazi, 2006). Ciò che lo ha spinto a scrivere, sostiene, è stato l’infarto che lo ha quasi ucciso a 28 anni, nel 1987. Il libro di Onfray Pensare l’Islam (traduzione di Michele Zaffarano) è uscito in anteprima nel febbraio 2016 con il «Corriere della Sera» per essere poi pubblicato da Ponte alle Grazie. Caratteris­tici del suo pensiero sono materialis­mo, laicismo ed edonismo: Onfray si definisce postanarch­ico e anticapita­lista, e teorizza l’hapax esistenzia­le ( hapax è in linguistic­a una parola che ricorre una volta sola in un testo), riferendos­i all’impatto delle esperienze che hanno segnato la sua vita. Non solo nel 2004 infatti ha avuto una nuova complicazi­one cardiaca e un ictus, ma nel 2013 la compagna Marie-Claude Ruel, malata di cancro, ha scelto l’eutanasia in Svizzera. Onfray ha aperto nel 2002 l’Université populaire de Caen, dove tiene corsi di Contro-storia della filosofia confluiti in vari libri
MICHEL ONFRAY Il lutto della malinconia Traduzione di Michele Zaffarano PONTE ALLE GRAZIE Pagine 128, € 13 L’autore Michel Onfray (Chambois, Francia, 1959), cresciuto fino a dieci anni in un orfanotrof­io e poi rientrato in famiglia, si è avvicinato alle idee anarchiche fin da giovane e si è laureato in Filosofia, materia che ha insegnato in un Istituto tecnico di Caen dal 1983 al 2002. Nel frattempo ha iniziato la produzione saggistica, con libri che toccano diversi temi: Il ventre dei filosofi. Critica della ragione dietetica (1989, per Rizzoli 1991, riedito come I filosofi in cucina nel 2001), Cinismo (1990, Rizzoli 1992), L’arte di gioire. Per un materialis­mo edonista (1991, Fazi 2009), Trattato di ateologia (Fazi, 2005), Teoria del corpo amoroso (Fazi, 2006). Ciò che lo ha spinto a scrivere, sostiene, è stato l’infarto che lo ha quasi ucciso a 28 anni, nel 1987. Il libro di Onfray Pensare l’Islam (traduzione di Michele Zaffarano) è uscito in anteprima nel febbraio 2016 con il «Corriere della Sera» per essere poi pubblicato da Ponte alle Grazie. Caratteris­tici del suo pensiero sono materialis­mo, laicismo ed edonismo: Onfray si definisce postanarch­ico e anticapita­lista, e teorizza l’hapax esistenzia­le ( hapax è in linguistic­a una parola che ricorre una volta sola in un testo), riferendos­i all’impatto delle esperienze che hanno segnato la sua vita. Non solo nel 2004 infatti ha avuto una nuova complicazi­one cardiaca e un ictus, ma nel 2013 la compagna Marie-Claude Ruel, malata di cancro, ha scelto l’eutanasia in Svizzera. Onfray ha aperto nel 2002 l’Université populaire de Caen, dove tiene corsi di Contro-storia della filosofia confluiti in vari libri

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