Corriere della Sera - La Lettura
Ermes e Atena antifascisti a Ventotene
Passati e futuri Wu Ming 1, con «La macchina del vento», elabora lo stesso bisogno di «Q» (di cui ricorre il ventennale): interrogarsi su ciò che potrà essere e su ciò che si sarebbe potuto fare
Il tono scanzonato con cui Wu Ming 1 riesce a narrare in La macchina del vento le vicende di un gruppo di confinati nell’isola di Ventotene tra il 1937 e il 1943 è un felice enigma. Un enigma perché funziona. Eppure si tratta di una faccenda maledettamente seria. Giovinezze spezzate, famiglie divise, fame, deprivazione, soprusi, pestaggi, nessuna prospettiva di fuoriuscita da un fascismo trionfante che comincia a scricchiolare solo quando getta l’Italia in una serie di guerre sanguinose quanto imbecilli, oltre che criminali: non ne azzecca una che è una, Francia, Grecia, Africa, Russia…
Niente di cui ci sia da ridere, e infatti non è il riso l’effetto che l’autore ha di mira: nessuna farsa, nessuna satira, nessuna consolazione sarcastica nel fatto che i prigionieri chiamino Mussolini Pasta-efagioli equiparando i suoi discorsi a flatulenze. Eppure, in quell’isola che trae il suo nome dal vento, fermentano incontrollabili speranze che non si piegano nemmeno per un attimo a quello che una ragione micragnosa referterebbe come un esame di realtà dagli esiti infausti. A Ventotene la ragione non è nemica, è alleata del sogno. Sognatori sono tutti, i personaggi inventati e i personaggi reali come Pertini, Spinelli, Colorni, Ernesto
Rossi, Terracini, Camilla Ravera — più in ombra i comunisti ortodossi tipo Secchia e Scoccimarro, troppo impegnati nella laboriosa digestione del patto MolotovRibbentrop…
Ai personaggi inventati l’autore lascia ovviamente maggior libertà di manovra. La lascia a Erminio Squarzanti, studente in lettere classiche arrestato dall’Ovra mentre è in preda al dilemma se presentare la sua tesi di laurea sul Mediterraneo come luogo di incontri, scambi e sorprese, a rischio di far infuriare il relatore Goffredo Coppola, valente grecista ma fascista fanatico, che vuol sentire parlare solo di Mare Nostrum e di Destini Imperiali. La lascia a Giacomo Pontecorvoli, che si dice allievo di Fermi a via Panisperna e pretende di aver costruito una macchina del tempo simile a quella del romanzo di H. G. Wells, su cui sarebbe salito e poi scomparso nientemeno che Majorana; ed è convinto che a Ventotene il tempo scorra più veloce che nel resto del pianeta (perché mai altrimenti l’orologio della piazza sarebbe sempre fermo?), facendone il luogo ideale per riprendere i suoi esperimenti e salvare i compagni. Un bislacco tipo, non c’è dubbio, anche se Squarzanti non gli è da meno quando immagina che gli dèi greci prendano parte al conflitto, Poseidone e ovviamente Ares schierati con il fascismo, tutti gli altri per i confinati, al punto che Atena ed Ermes si fanno internare sotto mentite spoglie per tramare tiri mancini ai danni della direzione, e guai ai secondini brutali.
Né meno sognatori sono Spinelli Colorni e Rossi, che a Ventotene elaborano il loro famoso manifesto federalista, un manifesto che a Squarzanti non piace per niente, tutto calato com’è dall’alto, progetto di governo senza popolo a cui il popolo ancora immaturo si dovrà adeguare. Essere compagni non vuol dire nascondere i dissensi. Più importante è dare l’esempio, come fa Pertini, che con la sua sola autorevolezza riesce a organizzare momenti di contropotere perfino in quel rigidissimo confino fascista. O come aveva fatto al liceo il professore di lettere di Erminio, Francesco Viviani, anche lui personaggio storico poi morto a Buchenwald, già ritratto da Bassani in Dietro la porta. Ognuno prende il suo coraggio dove lo trova. Nella memoria, nella mitologia, nell’immaginazione fantascientifica. Nella solidarietà, nella fedeltà, nell’ostinazione, nella fantasia che non aspetta la sua verifica nell’angusto recinto di ciò che c’è, ma in ciò che potrà essere, in quello che si potrà fare; o che si sarebbe potuto fare, il che in fondo è sempre stata la cifra profonda del lavoro di tutto il collettivo Wu Ming, a cominciare da Q, pubblicato quando ancora si chiamavano Luther Blissett, di cui ricorre in questi giorni il ventennale. Ogni passato, anche quello finito male, è una piazzaforte sotto cui scavare cunicoli, una guerra di mina, un tentativo di far evadere e riportare alla luce possibilità tenute prigioniere dalla storia dei vincitori.
Anche la Ventotene di Wu Ming 1 è un corridoio temporale tra i mondi, una breccia nel futuro. Da lì sono usciti i quadri migliori di quella che fu poi la Resistenza, la Liberazione, la Repubblica.
Il sogno di ogni potere è sempre quello di imprigionare il tempo nello spazio. Confini, reticolati, limiti: più oltre di qui non puoi andare, oltre questa linea non ti è nemmeno lecito pensare. Il potere vince ogniqualvolta riesce a convincersi di coincidere ipso facto con la realtà, e che tutto il resto sono miti, favole, fantasticherie. Ogni potere è una forma di appropriazione, di espropriazione del possibile: il futuro non potrà che assomigliare al presente, e anche il passato vi si dovrà adeguare. Per sua sfortuna, però, ogni essere umano è una macchina del tempo, e gli dèi sono sempre in servizio per chi ci crede. Il che non implica un’infantile fiducia nell’onnipotenza del pensiero: non Atena o Ermes ma il ferro e il fuoco dei sovietici e degli angloamericani hanno tirato fuori i confinati da Ventotene. Eppure è stato anche grazie a loro se, quando il momento è venuto, essi si sono trovati pronti per il futuro, un futuro che poteva non essere, l’unico futuro che valga davvero la pena di vivere.
Sull’isola Personaggi inventati si affiancano a figure storiche come Pertini, Spinelli, Ernesto Rossi. E poi ci sono i miti, e la fantascienza