Corriere della Sera - La Lettura
Le flessioni fanno bene alle storie
Com’eravamo Torna, 25 anni dopo, il felice esordio di Raul Montanari. Una prosa molto fisica
Un lago, un fiume, tre giorni, due uomini, una ragazza e, non così ovviamente, pistole e morte. Questi ultimi elementi, quando 25 anni fa l’esordio di Raul Montanari venne pubblicato da Feltrinelli, non erano così comuni nel panorama letterario italiano. Era il 1994 e La perfezione, tornato in libreria in una nuova edizione per Baldini+Castoldi, segnava uno dei primi passi del noir letterario italiano, in anni vicini a Lazzaro, vieni fuori (1991) di Andrea G. Pinketts e Indagine non autorizzata (1993) di Carlo Lucarelli. Era l’inizio di un genere che è poi diventato
tra i principali della produzione letteraria, creando anche un po’ di saturazione editoriale.
Leggendo oggi il primo romanzo di Montanari, il passo netto e veloce, l’architettura drammatica scarna, lo stile funzionale a svelare le psicologie dei personaggi in pochi tratti, tengono, parafrasando il titolo che venne suggerito da Aldo Busi, alla perfezione. Un uomo è tornato, 10 anni dopo un tragico incidente in cui ha perso genitori e sorella, nel paesino in cui trascorreva le vacanze. Sta a casa della vecchia nonna, vive ritirato, non vorrebbe farsi vedere perché è sfigurato, scandisce le giornate con massacranti serie di flessioni e, in una borsa, ha una pistola. Un altro uomo, l’Olandese, imponente come un gigante, è arrivato dall’estero nella località: ci viene ogni anno per pescare, ma oltre alla canna, ha una pistola. Una telefonata criptica a ciascuno dei due, fatta da un misterioso «interlocutore», avvia l’azione: lo sfigurato dovrà uccidere l’Olandese, forse un contrabbandiere, ma ancora non lo conosce. Nei tre giorni, intanto, lo sfigurato spera di conoscere la vicina Alessandra, che rimane un’immagine intravista dalla finestra, mentre l’Olandese incontra la giovane Adriana, splendida di fisico ma rovinata in viso.
Montanari distribuisce opposti e corrispondenze con arte e se la morte è protagonista del finale, che si svolge vicino a dove si era schiantata la macchina della famiglia dello sfigurato, l’attesa si lega a un’altra constatazione del narratore: «La bellezza non sempre poteva imporre la propria forza ai fantasmi e ai feticci del puro desiderio». Adriana è il desiderio, l’incidente dello sfigurato, che torna nei suoi pensieri, il fantasma: entrambi trovano catarsi nella storia che abbraccia «quei dieci anni dal fiume al fiume, da morte a morte», con la caduta dell’Olandese, la cui malvagità, dietro la sua monumentale quiete, è nota solo a posteriori, da un aneddoto legato a un suo vecchio spietato omicidio.
Se il titolo del romanzo ha un suo perché che non possiamo anticipare, certo è che Montanari, già dall’esordio a 35 anni, mette in campo temi che torneranno nella sue opere successive. Uno su tutti, l’ossessione del corpo e la resa estatica della fisicità: non semplice descrizione di personaggi, ma parte del loro carattere e agire, motore di narrativa. Fin dal primo riuscito esercizio, Montanari ha poi continuato a mostrarlo: le flessioni servono alle storie.