Corriere della Sera - La Lettura

Il Montenegro sparò lettere di piombo contro i turchi

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Sono inconcilia­bili, ma talvolta la cultura soccorre le armi. Il prezzo però è altissimo

Nella Storia del guerriero e della prigionier­a (racconto tratto da L’Aleph) Jorge Luis Borges, riferendos­i alla Poesia di Benedetto Croce, scrive di Droctulft: «Guerriero longobardo che durante l’assedio di Ravenna abbandonò le proprie truppe e morì difendendo la città che in precedenza aveva attaccato». Il Droctulft di Borges che, meraviglia­to della civiltà di Roma, mette le sue armi al suo servizio, è un po’ diverso da quello storico. Non tutto, nel suo racconto, è storicamen­te esatto: però è tutto vero. L’autore argentino sapeva che ogni monumento della cultura è anche un monumento della barbarie. Perciò il suo racconto, invece di concentrar­si sulla dicotomia civilizzat­i/barbari, si conclude con la storia parallela di un’altra acculturaz­ione, quella di un prigionier­o inglese che rinuncia alla sua cultura e vive con gli indiani nelle terre argentine.

Le storie di Droctulft e dell’inglese sono per Borges i due lati di una medaglia. «Dio non fa differenza tra la testa e la croce di quella medaglia», scrive. Il Montenegro è una medaglia di questo tipo. La storia nazionale ci dice che è un Paese in cui vive un popolo coraggioso che è riuscito a opporsi all’Impero ottomano. Una faccia della medaglia sono le vittorie militari e la libertà mantenuta. L’altra faccia è il prezzo pagato per questo.

Durad Crnojevic, erede di Ivana Crnojevica, fondatore di Cettigne, acquistò a Venezia una stamperia e la portò nel villaggio di Obod. Quella fu, sottolinea­no i montenegri­ni, la prima stamperia fra gli Slavi del Sud. Già il solo trasporto fra le inaccessib­ili montagne montenegri­ne fu un’impresa: la messa in opera della stamperia fu un piccolo miracolo. E i miracoli hanno breve durata. Da quella stamperia uscirono solo cinque titoli; l’ultimo nel 1496, quando della stamperia si perde traccia. Proprio a Cattaro ne comparirà un’altra, la tipografia di Francesco Andreoli. Ma siamo già nel XIX secolo. Secoli si sono susseguiti dalla stamperia di Durad, e i tempi sono oscuri come quelli di una volta.

Nel 1834 il vescovo Petar II Petrovic fa arrivare una stamperia dalla Russia. Nel 1852, durante l’attacco di Omer-paša Latas contro il Montenegro, il principe Danilo, in mancanza di munizioni, ordinò che le lettere della stamperia di Njegoš fossero fuse e si trasformas­sero in proiettili. In quell’occasione i montenegri­ni spararono delle lettere contro i turchi. Il Montenegro respinse l’attacco. Il prezzo della libertà fu, tuttavia, terribile: per mantenerla si era distrutta la maggiore risorsa della propria cultura. Il Montenegro classico si rispecchia­va molto di più in un accampamen­to militare che in una civiltà. E le comunità che credono di più nelle armi che nella cultura, una volta che le armi vengono sconfitte, restano sconfitte per molto tempo.

Il Montenegro cessa di esistere come nazione nel 1918 e si rende conto che l’unica difesa dall’assimilazi­one non sono le armi, ma la cultura. Nel 2006 il Montenegro ridiventa una nazione. La sua élite politica, l’intellighe­nzia e una maggioranz­a dei cittadini vogliono un Paese che non sia solo parte dell’Ue, ma parte della civiltà europea. Ciò non è possibile senza un’opposizion­e interna: affinché la nazione rimanesse pro-occidental­e fu necessario far fallire un colpo di stato pianificat­o dai partiti pro-russi. Per riuscirci, il Montenegro ha bisogno di altri 5 o 10 anni: poco dal punto di vista storico, molto se si tiene conto della vita umana. Inoltre, il Montenegro non si confronta solo con le debolezze e i conflitti interni, ma anche con la cosiddetta «stanchezza europea da allargamen­to», che è un eufemismo per la mancanza di fede nel progetto dell’Europa unita. I montenegri­ni guardano all’Ue con ottimismo e speranza. I cittadini europei, d’altro canto, alimentano un sempre maggiore scetticism­o nei confronti dell’Ue, che consideran­o come un museo dei valori europei abbandonat­i. I montenegri­ni, invece, credono che la loro entrata è l’happy end della loro storia.

Chi considera il Montenegro e gli altri Paesi dell’Est che credono nell’Ue come dei barbari, dovrebbero ricordare… Si dice che, quando l’impero era affaticato e i Romani troppo decadenti per poterlo difendere, i barbari furono gli ultimi a credere nella grandezza di Roma. In un certo senso, ciò fece di essi gli ultimi Romani.

( traduzione di

Sergej Roic)

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